le versioni + comuni, x risparmiare tempo

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ultras juve89
view post Posted on 28/10/2006, 18:05




Il Topo di Città e il Topo di Campagna
"Si narra che una volta un topo di campagna accolse un topo di città nel suo povero buco. Era un vecchio ospite che accoglieva un vecchio amico; rozzo egli era ed economo delle sue provviste, ma non tanto che non seppe sciogliere l'avaro animo suo per un amico. In breve egli non risparmiò il cece che aveva messo da parte né l'avena dal lungo chicco, e offriì acini di uva secca e pezzettini rosicchiati di lardo, portandoli con la sua bocca; desiderava così di vincere, con una cena variata, la schizzignosità dell'ospite che appena toccava, con il suo dente superbo, le portate; lui invece, il padrone di casa, sdraiato su paglia secca, mangiava grano e lollio, lasciando all'altro i bocconi migliori. Infine il topo di città gli disse: <<Che piacere provi, amico, a vivere qui, a soffrire sul dorso, di un bosco scosceso? Vuoi tu davvero anteporre questi luoghi selvatici alla vita che gli uomini conducono in città? Mettiti incammino con me, dammi retta, dal momento che tutto ciò che vive sulla terra ha avuto in sorte un'anima mortale, e nessuno, grande o piccolo che sia, può sfuggire alla morte: perciò, mio caro, finché puoi, vivitene beato in mezzo alle delizie, vivi ricordando quanto sia breve il tempo della tua esistenza!>>. Queste parole fecero decidere il topo di campagna, che d'un balzo saltò fuori dal suo buco; poi, s'avviarono insieme verso la città, vogliosi di strisciare nottetempo sotto le mura. E già la notte teneva il mezzo del cielo, quando tutti e due pongono i piedi dentro un palazzo ricco al punto, che sopra i letti tricliniari in avorio brillava una stoffa di porpora splendente, e sopravanzavano, resti di una grande cena del giorno prima, molte portate dentro canestri ammonticchiati in un angolo. E quando l'ospitante ha messo il topo di campagna bello disteso su di una stoffa di porpora, svelto, con delle corsettine, continua a portargli vivande, proprio come un cameriere."



Da “Comprendere e tradurre” Materiali vol. I°

Di Flocchini, Bacci, Guidotti

ES. 7.1 PAG. 294

4) Annibale venne nell’agro Campano per assediare Napoli.

6) Prego sempre gli dei che i miei amici siano incolumi, beati e fiorenti (in buona salute).

7) Ammonisco i discepoli perché amino i propri principi non meno che gli stessi studi.

11) Il comandante ordinò che i soldati fossero mandati avanti per esplorare i luoghi.

20) O fanciulli, dite sempre la verità per non perdere la stima degli amici.

ES. 1.1 PAG. 331

1) I tuoi consigli furono tanto graditi quanto utili.

2) Il comandante rafforzò gli animi dei soldato con un discorso tanto breve quanto veemente.

3) E’ noto che i Monti Appennini sono meno alti che le Alpi.

4) In battaglia il coraggio dei soldati è ugualmente necessario quanto il consiglio del comandante.

ES. 2 PAG. 281 (da Valerio Massimo)

AVIDITA’ PUNITA.

Nicotridi, sapiente e famosa regina dei Babilonesi, prima di uscire dalla vita (di morire), ordinò ai

suoi ministri che sulla sua tomba fossero iscritte queste parole: qui sta nascosto un grande tesoro.

Se il re di Babilonia sarà (si troverà) in grave mancanza di denaro, sia aperto il sepolcro e sia pre=

so il tesoro; se poi il sepolcro verrà profanato, nessuno, (se) indotto dalla necessità, pagherà le pe=

ne della sua avidità.

Per molti anni il sepolcro di Nicotride non è violato, ma quando Dario fu fatto re dei Persiani, mos=

so dal desiderio di ricchezze, aprì il sepolcro per prendere il tesoro: scoprì soltanto il cadavere della

regina e, sul cadavere, queste parole scritte: “Se tu imparassi a contenere il tuo desiderio di ricchez=

za, non violeresti i sepolcri dei morti!”

La temperanza, infatti, è un grande tesoro.


Da “Comprendere e tradurre” Manuale, vol. I°
Di Flocchini, Bacci, Guidotti


Versione 2 pag. 546 : La moderazione in ogni circostanza è un dovere
(da Cicerone)

Nelle circostanze favorevoli la superbia e l’arroganza debbono essere vivamente da

noi fuggite (nelle circostanze favorevoli noi dobbiamo fuggire la superbia e l’arro=

ganza). Infatti, come il piangere smodatamente nelle situazioni avverse, cosi’ il ral=

legrarsi troppo nella fortuna e’ indizio di leggerezza e stoltezza: in tutte le circostan=

ze della vita va conservata la giusta misura. Pertanto dicono cose giuste coloro che

ci esortano ad essere quanto piu’ superiori tanto piu’ umilmente ci comportiamo.

Panezio, illustre filosofo, narra che Scipione l’Africano era solito dire:” Come i ca=

valli selvaggi sono da consegnare ai domatori, affinche’ possiamo servircene senza

pericolo, cosi’ gli uomini sfrenati nella fortuna e presuntuosi sono da ammonire,

perché’ riflettano sull’instabilita’ delle vicende umane e sulla mutevolezza della sor=

te.” Anche nelle situazioni molto favorevoli bisogna servirsi massimamente del con=

siglio degli amici, pertanto vanno del tutto evitati gli adulatori, e da noi le orecchie

non vanno prestate alle loro parole, che spesso ci traggono in inganno (e non

dobbiamo prestare ascolto alle loro parole..).

PARADIGMI
fugio, is, fugi, fugiturus, ere queror, quereris, questus sum, queri
laetor, laetaris, laetatus sum, laetari sum, es, fui, esse
servo, as, avi, atum, are dico, is, dixi, dictum, ere
moneo, es, monui, monitum, ere gero, si, gessi, gestum, ere
narro, as, avi, atum, are dico, is, dixi, dictum, ere
trado, is, tradidi, traditum, ere utor, uteris, usus sum, uti
possum, potes, potui, posse effreno, as, avi, atum, are
cogito, as, avi, atum, are decipio, is, cepi, ceptum, ere
praebeo, es, bui, bitum, ere

 
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(·»..SpÅnK..«·)
view post Posted on 29/10/2006, 10:57




oddio la versione sui topi l'avevo fatta col pedullà -.-
 
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matteo_tiberia
view post Posted on 29/10/2006, 15:14




simulatore e dissimulatore di ogni cosa (cit.)
 
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Mister Fattorini
view post Posted on 29/10/2006, 20:01




bellissima quella dei topi è celebre!!!

 
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er_faina
view post Posted on 30/10/2006, 14:37




madre del cielo :ph34r: state rovinando una sezione :ph34r:
 
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ultras juve89
view post Posted on 1/11/2006, 13:42




NEPOTE MORTE DI EPAMINONDA TEBANO



EPAMINONDA , COMANDANTE SUPREMO DEI TEBANI , INCALZANDO ALQUANTO AUDACEMENTE I NEMICI IN UNA BATTAGLIA PRESSO MANTINEA , FU RICONOSCIUTO DAGLI SPARTANI ; ESSI IN UN SOLO ATTACCO LO ASSALIRONO E NON LO ABBANDONARONO , PRIMA DI AVERLO VISTO SOCCOMBERE , MENTRE COMBATTEVA AUDACEMENTE , COLPITO A DISTANZA DA UN GIAVELLOTTO . ALQUANTO INTIMORITI DALLA MORTE DI QUESTI , I BEOTI TUTTAVIA NON SI SCORAGGIARONO E NON ABBANDONARONO IL COMBATTIMENTO PRIMA DI AVER SCONFITTO I NEMICI . FRATTANTO EPAMINONDA VEDENDO LA FERITA MORTALE E COMPRENDENDO CHE SE AVESSE ESTRATTO LA PUNTA DELLA LANCIA , CHE GLI ERA RIMASTA CONFICCATA IN CORPO , SAREBBE MORTO , NON LA TOLSE FINCHE’ NON GLI EBBERO ANNUNCIATO CHE I BEOTI AVEVANO VINTO . DOPO AVER ASCOLTATO LA LIETA NOTIZIA DISSE : “ HO VISSUTO DEGNAMENTE , INFATTI MUOIO DA VINCITORE . ALLORA , DOPO CHE GLI EBBERO ESTRATTO LA PUNTA , MORI .



Vercingetorix, Celtilli filius, summae potentiae adulescens, cuius pater principatum Galliae totius obtinuerat et ob eam causam, quod regnum adpetebat, a civitate erat interfectus, clientes suos convocavit et facile incendit. Omnes cum consilium eius cognoverunt, ad arma concurrunt; sed patruus reliquique principes, qui hanc audaciam inopportunam existimant, eum ex oppido Gergovia expellunt; ille tamen non desistit, atque in agris habet dilectum egentium ac perditorum. Omnes ad suam sententiam perducit; incitat ut communis liber¬tatis causa arma capiant, et cum magnis copiis, quas coegit, adversarios suos, qui paulo ante eum eiecerunt, expellit e civitate. Celeriter sibi Senones, Parisios, Pictones, Cadurcos, Turo¬nos, Aulercos, Lemovices, Andos reliquosque omnes qui Oceanum adtingunt, adiungit; omnium consensu ad eum imperium permittunt.

Vercingetorige, figlio di Celtillo, giovane di massima autorità, il cui padre era riuscito a ottenere il potere sull’intera Gallia e per quel motivo, poiché aspirava al regno, era stato ucciso dai cittadini, radunò i suoi fedeli e facilmente li entusiasmò. Quando tutti ebbero conosciuto il suo piano, corsero alle armi; ma lo zio (paterno) e gli altri nobili, che ritengono inopportuna questa audacia, lo cacciano dalla città di Gergovia; tuttavia quello no desiste, e nei campi arruola gente miserabile e disperata. Guadagna tutti ai propri progetti; esorta a combattere per la libertà della Gallia , e con un grosso esercito, che aveva radunato, bandisce dalla città i suoi oppositori, che poco prima lo avevano scacciato. Si procura rapidamente l’alleanza di Senoni, Parisi, Pittavi, Cadurci, Turoni, Aulerci, Lemovici, Andi e di tutti gli altri (popoli) che sono bagnati dall’Oceano; assegnano all’unanimità il comando supremo a lui.



MORTE DI CABRIA ATENIESE
Cabria morì nella guerra sociale in questo modo.Gli Ateniesi assalivano Chio. Cabria era nella flotta da cittadino privato, ma superava come autorità tutte le cariche pubbliche e i soldati rispettavano lui più che i loro comandanti. Questo gli affrettò la morte. Infatti, mentre cercava di penetrare il porto e comandava il timoniere di dirigerla lì la nave, lui stesso fu la rovina di se stesso: infatti essendo penetrata la sua nave, le rimanenti non la seguirono. Nel porto, combattendo in modo molto forte, circondata in massa dai nemici, la nave colpita sulla prua cominciò ad affondare. Pur potendo fuggire da quel luogo, se si fosse gettato in mare, poiché la flotta degli Ateniesi accoglieva naufraghi, preferì perdere la vita che lasciare la nave sulla quale era trasportato. Questo non vollero fare i rimanenti e arrivarono al sicuro a nuoto. Ma quello, ritenendo che una morte onesta fosse preferibile ad una vita vergognosa, fu ucciso corpo a corpo combattendo dalle armi dei nemici.
Cornelio Nepote



ho rega sto a tenta de rende utile questa sezione..
 
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ultras juve89
view post Posted on 4/11/2006, 14:45




La volpe e la cicogna

Nulli nocendum: si quis vero laeserit,
multandum simili iure fabella admonet.
Vulpes ad cenam dicitur ciconiam
prior invitasse et illi in patina liquidam
posuisse sorbitionem, quam nullo modo
gustare esuriens potuerit ciconia.
Quae vulpem cum revocasse, intrito cibo
plenam lagonam posuit: huic rostrum inserens
satiatur ipsa et torquet convivam fame.
Quae lagonae collum frustra lambens
peregrinam sic locutam volucrem accepimus:
«Sua quisque exempla debet aequo animo pati».
(da Fedro, I, 26)


Non si deve far del male a nessuno: ma se qualcuno avrà recato danno, la favoletta insegna che deve essere ripagato con la stessa moneta. Si racconta che la volpe per prima avesse invitato a pranzo la cicogna e le avesse imbandito, in un piatto largo, una vivanda liquida, che la cicogna in nessun modo poté assaggiare, pur essendo affamata. Ma questa, avendo a sua volta invitato la volpe, le pose davanti una bottiglia piena di cibo tritato: inserendovi il becco, lei stessa si sazia e tormenta con la fame l’invitata. E mentre quella leccava invano il collo della bottiglia, sappiamo che l’uccello migratore così parlò: «Ciascuno dève sopportare con rassegnazione gli esempi dati (agli altri)».


Proemio di "Vite dei Massimi Condottieri" di Nepote
Non dubito, Attico, che molto numerosi saranno coloro che giudicheranno questo mio modo di scrivere la storia, leggero ed inadeguato a grandi uomini, dato che vi si legge, per esempio, chi sia stato il maestro di musica di Epaminonda o si menziona tra le sue belle qualità l'agilità nella danza e la bravura nel suonare il flauto. Ma saranno probabilmente persone che, ignorando la cultura greca, crederanno di dover approvare soltanto ciò che è conforme al loro proprio modo di vivere. Ma quando avranno imparato che il criterio circa il ben fatto e il mal fatto non è uguale per tutti e che ogni cosa deve essere giudicata secondo le tradizioni dei propri avi, non si meraviglieranno che nella trattazione delle virtù dei Greci io mi sia uniformato alla loro forma di civiltà. Così non era vergognoso per Cimone, grandissimo tra gli Ateniesi, avere per moglie la sorella germana, perché i suoi concittadini seguivano la stessa usanza, mentre ciò, secondo i nostri costumi, è scandaloso. A Creta era segno di distinzione per i giovani l'essere stati amanti di molti. A Sparta non c'è vedova tanto nobile che non possa darsi alla prostituzione per guadagno. Così anche in tutta la Grecia si aveva per grande onore l'essere proclamato vincitore alle Olimpiadi, fare scene o esibirsi negli spettacoli non era ritenuto disonorevole per alcuno: tutte cose che da noi sono parte infamanti, parte umilianti e parte contro il decoro. Invece moltissime azioni giudicate decorose da noi invece sono giudicate turpi da loro. Chi dei Romani si fa scrupolo di portare la moglie al banchetto? o quale matrona non si fa vedere nell'atrio della casa o frequentare la società? In Grecia invece l'uso è molto diverso. La donna non è ammessa a conviti che non siano di congiunti e si trattiene solo nella parte più interna della casa, chiamata gineceo, dove nessuno può entrare se non uno stretto parente. Ma mi distoglie dal diffondermi più a lungo in codesta materia sia la mole dell'opera sia una certa fretta di dar corso a quello a cui ho accennato. Vengo quindi all'argomento propostomi e tratterò in questo libro della vita di alcuni grandissimi condottieri.

De Bello Gallico 1,3
Spinti da questi motivi e scossi dall'autorità di Orgetorige, stabilirono di disporre l'occorrente alla partenza: adunare il maggior numero di bestie da soma e di carriaggi che si potesse acquistare, eseguire il massimo delle semine per non mancare di grano durante il viaggio, stabilire una pace amichevole con le nazioni limitrofe. per compiere questi preparativi giudicarono sufficiente un biennio, e al terzo anno fissano per legge la partenza. A realizzarli viene scelto Orgetorige. Questi nel corso delle ambascerie che compì presso varie nazioni convince Castico figlio di Catamatalde – un sequano il cui padre aveva dominato per molti anni sul suo popolo ed era stato proclamato dal Senato amico del popolo romano - a prendere il potere tra i suoi connazionali come suo padre prima di lui; altrettanto fa con l'eduo Dumnorige, fratello di Diviciaco allora principe della sua nazione, e molto popolare, inducendo a compiere un tentativo analogo e concedendogli in moglie la propria figlia. dimostra a entrambi l'estrema facilità dell'impresa, poiché anch'egli avrebbe ottenuto il dominio della propria nazione: ed essendo fuor di dubbio che gli Elvezi fossero il popolo più potente dell'intera Gallia, garantisce che con le sue risorse e il suo esercito egli avrebbe procurato loro il trono. Questo discorso li induce a giurare lealtà reciproca, e confidano che un volta raggiunto il potere, con quei tre popoli così forti e saldi potranno divenire padroni della Gallia intera.

Capitolo LIV degli "Annales" di Tacito
Ma ora abbiamo entrambi colmato la misura, sia tu, per quanto può un principe donare ad un amico, sia io per quanto può un amico ricevere da un principe; il di più può soltanto fomentare l'invidia, la quale, come tutti i diletti degli uomini, non giunge a toccare la tua grandezza; ma su di me sovrasta minacciosa e devo difendermi. E come invocherei il tuo soccorso se in una campagna militare o in un viaggio mi trovassi spossato, così, vecchio ormai ed inetto anche agli uffici più lievi in questo viaggio della vita, sentendo di non poter sostenere oltre il carico delle mie ricchezze, chiedo a te aiuto. Ordina tu che i miei beni passino sotto la cura dei tuoi amministratori, rientrino a far parte delle tue sostanze. Non intendo con questo volermi ridurre in miseria, ma riconsegnarti quei beni il cuo fulgore mi abbaglia, potrò nuovamente dedicare alle occupazioni spirituali quel tempo che si perde nella cura dei giardini e delle ville. Tu hai ora abbondanza di energie e l'esperienza di un altissimo comando assimilata durante tanti anni: possiamo quindi noi, tuoi vecchi amici, chiedere congedo. Anche questo sarà per te titolo di gloria: aver elevato alle più alte fortune chi ne avrebbe accettata anche una modesta.


I Sanniti chiedono agli Etruschi di allearsi contro i Romani
I Sanniti si diressero verso l'Etruria e chiesero una assemblea sei capi dell'Etruria. E radunata questa espongono per quanti anni combattono per la libertà contro i Romani: avevano provato tutte le cose, nel caso in cui potessero affrontare un rischio tanto grande di guerra con le loro stesse forze: avevano tentato anche di ottenere gli aiuti delle genti vicine non con grande efficacia. Avevano chiesto la pace al popolo romano,, non potendo tollerare la guerra; si erano ribellate perché la pace per chi è schiavo è più tollerabile che la guerra per chi è libero. A loro restava un'unica speranza negli Etruschi: sapere che erano la gente più ricca d'Italia per armi, uomini, denaro; avevano come confinanti i Galli. nati tra spada e armi, feroci non solo con il loro ingegno ma anche contro i Romani, popolo che ricordano catturato da loro e riscattato con l'oro, non vantandosi inutilmente. Numma mancava a che costringessero i Romani cacciati da ogni territorio al di là del Tevere a combattere per la propria salvezza non per non tollerare il regno d'Italia nel caso in cui gli etruschi avessero lo stesso animo che un tempo era stato di Porsenna e dei loro antenati.

L'educazione presso i Romani
Ritengo che sarebbe opportuno che io dica poche cose sulla educazione dei figli presso i romani per non tediarvi. Nessuno dei padri di famiglia non conosce la severità con la quale in tempi antichissimi venivano educati gli animi e i corpi dei figli. Pertanto erano ritenuti ottimi i costumi della repubblica se nati da una disciplina fin dall'infanzia. Neppure le madri si vergognavano di passare i giorni costantemente a casa per educare i figli, affinché diventassero ottimi cittadini della patria. Tuttavia gli scrittori delle cronache romane non raramente manifestavano dispiacere degli attuali costumi. Infatti si diceva che negli ultimi tempi della repubblica la vita della famiglia e dei cittadini era già corrotta. Allora le madri incominciarono ad essere infastidite dovendo rimanere a casa con i figli, inoltre ai padri dispiaceva osservare tutto quello che gli avi avevano ritenuto non sconveniente. D'altra parte sembrava che i cattivi esempi dei genitori incitavano i figli al lusso e alla pigrizia.

Trionfo di Camillo tre volte vincitore
Camillo tornò trionfante nella città vincitore contemporaneamente di tre battaglie. Portò moltissimi prigionieri etruschi davanti al carro, venduti i quali all'asta ricavò tanto denaro, che, rifuso il prezzo dell'oro versato dalle matrone, con ciò che era avanzato, sono state fatte tre coppe d'oro, le quali con l'iscrizione del nome di Camillo risulta che sono state poste nella cappella di Giove davanti ai piedi di Giunone prima dell'incendio del Campidoglio.

Gli studenti si devono esercitare attivamente
Ne lo stesso precettore deve solo insegnare queste cose, ma interrogare frequentemente e mettere alla prova il discernimento degli studenti. Così l'apatia si allontanerà da coloro che ascoltano, ne le cose che si andranno dicendo sfuggiranno agli orecchi: insieme, condurranno a ciò quello che da questo si chiede; cioè che loro conoscano e capiscano. Infatti che cos'altro facciamo insegnando a loro se non che sono sempre da informare? Questo genere di attenzione oserei dire più utile agli studenti più che a tutte le abilità in ogni cosa. Come tuttavia sono state tramandate alcune regole generali nell'arte della guerra molto maggiormente sarà comunque più vantaggioso conoscere per quale motivo qualcuno dei comandanti ne faccia uso sapiente in quale circostanza, in quale momento, in quale luogo o sia contrario: infatti in tutte le cose generalmente le regole valgono meno che la pratica.

Il re Pirro
Nel medesimo tempo fu dichiarata una guerra ai Tarantini, che già si trovavano nella parte meridionale dell'Italia, poiché avevano fatto un torto agli ambasciatori romani, questi chiesero aiuto contro i romani, a Pirro, re dell'Epiro che traeva origine dalla stirpe di Achille. Egli venne subito in Italia e allora per la prima volta i romani combatterono con un nemico d'oltremare. Fu mandato contro Pirro il console P. Valerio Levino, il quale dopo aver catturato gli esploratori di Pirro, ordinò che essi fossero condotti per l'accampamento, che fosse mostrato tutto l'esercito e che allora fossero lasciati andare, affinché riferissero a Pirro tutto ciò che i romani stavano facendo. Attaccata immediatamente battaglia mentre, sebbene Pirro fuggisse già, vinse con l'aiuto degli elefanti i quali impaurirono i romani giacché non li avevano mai visti. Ma la notte pose fine al combattimento; Levino tuttavia fuggì durante la notte. Pirro catturò mille e ottocento romani e li trattò con sommo rispetto, fece seppellire quelli uccisi. E dopo aver visto questi anche morti con ferite sul petto e con un aspetto orribile, si dice che portò le mani al cielo con queste parole: che egli avrebbe potuto essere padrone di tutto quanto il mondo se gli fossero capitati tali soldati.

Scontro tra Cesare e i Britanni
Cesare capiva che anche se ciò che era accaduto nei giorni precedenti si sarebbe ripetuto, cioè che in nemici sconfitti fuggissero il pericolo velocemente, tuttavia trovati per caso circa trenta cavalieri, che Commio Atreba aveva portato con sé, dispose le legioni in schiere davanti all'accampamento. Incominciata la battaglia i nemici non poterono contrastare l'impeto dei nostri soldati per lungo tempo e così fuggirono. Ma avendoli inseguiti per un bel tratto, quanto potevano mettere assieme con la corsa e le forze, ne uccisero molti; e poi dopo aver bruciato tutte le case in lungo e in largo ritornarono agli accampamenti.

Traduzione dei vv. 1-30 del Prologo de "Le Baccanti"
Io Dioniso, figlio di Giove, sono giunto presso la terra dei Tebani, che la sposa figlia di Cadmo Semele ha dato alla luce una volta, fatta partorire dalla fiamma del lampo; avendo assunto l'aspetto mortale al posto di quello divino sono giunto presso la fonte di Dirce, serpente del fiume Ismeo. Vedo il sepolcro di mia madre, la fulminata e vicino le rovine delle case e delle dimore fumanti per la fiamma ancora viva del fulmine di Zeus, oltraggio inestinguibile della madre. Era verso di me. Lodo Cadmo, che ha reso inviolabile questo suolo, recinto sacro della figlia; io la coprii con i verdi grappoli della vite. Abbandonando i campi dei Lidi e dei Frigi ricchi d'oro, la pianura dei Persiani battute dal sole, le mura della Battriana e la gelida terra dei Medi, e dopo aver attraversato l'Arabia felice e tutta l’Asia che presso il mare salato si adagia con le città dalle belle torri; piene insieme di Greci e Barbari mescolati tra loro, prima andai verso la città dei Greci e avendo condotto una danza corale e avendo imposto i miei riti di iniziazioni, per rivelarmi dio ai mortali. È Tebe la prima città della terra ellenica che ho fatto risuonare di grida femminili, dopo aver ricoperto il loro corpo con una pelle di cerbiatto (nebride) avendo loro dato un'arma ricoperta di edera in mano. Ma lì le sorelle della madre, quelle che meno avrebbero dovuto farlo, dicevano che Dioniso non era figlio di Zeus (ma dicevano che) Semele sedotta da un mortale, riferiva a Zeus il peccato del letto, astuta trovata di Cadmo e per questo esclamavano esultanti, Zeus l'aveva uccisa, poiché aveva mentito riguardo le sue nozze.

Un'ennesima ruberia di Verre
Non sarebbe certamente stato necessario che venisse portata via la statua di Apollo a Lisone di Lilibeto, primo uomo, presso il quale hai alloggiato. Dirai di averla acquistata. Lo so, per mille sesterzi. Così penso. So, dico. mostrerò il contratto di acquisto. Tuttavia non sarebbe stato necessario che ciò venisse fatto. Al minore Eio, a cui è tutore Gaio Marcello, al quale avevi sottratto una grande quantità di denaro e vasi con stemmi di Lilibeto, quali dei due dici che sono stati comprati o confessi che sono stati rubati?

Sogni e visioni
In sogno Giove ordinò al plebeo Latino di annunciare al senato che i consoli istituissero i giochi poiché non erano stati definiti secondo il rito: infatti prima dell'introduzione del corteo per il circo il servo era stato condotto in croce dal padrone. Siccome Latino dubitava, fu oppresso dalla improvvisa morte del figlio, dopodiché della salute del suo corpo, continuando le profezie di Giove; finalmente portato su una lettiga riferì il sogno al senato e subito dopo uscì dalla curia con i propri piedi. Sembra che Creso, avendo due figli, abbia visto in sogno il figlio Ati mentre si strappava un giavellotto. Pertanto sembrò al re che al figlio fosse proibito di usare il giavellotto. Poco dopo tuttavia, quando un cinghiale di dimensioni enormi devastava le culture del monte Olimpo, con frequenti devastazioni di campi coltivati, il figli fu lasciato andare da Creso per ucciderlo. Così si dice che non avrebbe potuto evitare il destino del giovane. Infatti mentre tutti erano intenti con intensa passione ad uccidere il maiale, il caso sfortunato deviò verso Ati la lancia di qualcuno, scagliata al fine di colpire la bestia da colpire. Si dice che Annibale nominato responsabile e comandante dell'invasione dell'Italia, abbia visto in sogno un giovane mandato a lui da Giove. Poco dopo si dice che abbia visto un immenso serpente che spaventava tutto ciò che gli si parava davanti con slancio impetuoso; e poi sbalordito si dice che interrogò il giovane sul significato di ciò, il quale rispose: «guarda la grandezza dell'Italia: perciò taci e lascia al destino tutte le altre cose».

I libri sibillini
Si narra che una volta una certa vecchia si recò dal re Tarquinio, portando con se nove libri, che diceva contenevano i divini presagi e desiderava vendere. Tarquinio avendo domandato il prezzo, la vecchia chiese il prezzo massimo; il re la derise perché pensava avesse perso il senno a causa della tarda età. Allora quella, avendo posto un fuoco davanti a questo, bruciò tre dei nove libri e chiese se voleva comprare i sei rimanenti allo stesso prezzo. Ma parve a Tarquinio, che rideva molto di più, che la vecchia senza dubbio delirasse. Ma immediatamente la vecchia, bruciati altri tre libri, chiese candidamente di nuovo al re se voleva comprare gli ultimi tre libri al medesimo prezzo. Allora si dice che Tarquinio sia divenuto più attento; infatti pensò che una donna così costante e sicura di sé non fosse da sfidare; pertanto comprò immediatamente al medesimo prezzo i libri. Quando la vecchia partì da Tarquinio, nessuno seppe mai che cosa lei fosse stata pagata: ciò non fu più visto da nessuna parte del mondo.

Macedonia
Prima era Macedonia, fu chiamata così l'Emazia dal nome del re Emezio, di cui le prime prove di valore ancora sussistono in quei luoghi. Di questa come furono scarsi gli aumenti ( di territorio ), così i confini furono sempre piccoli. Era chiamata Beozia il territorio dove regnavano i Pelasgi. Ma poi per il valore dei re e l'operosità della gente forzati dapprima i confini, subito dopo forzati i popoli e le nazioni, estesero il dominio fino agli estremi confini dell'oriente. Nella regione della Poemia, che era una parte della Macedonia, si dice che abbia regnato Pelagono, padre di Aristopeo, il cui nome abbiamo appreso tra gli illustri difensori della città durante la guerra di Troia in Macedonia. Europo regnò da un'altra parte in Europa. Ma anche Carano, che aveva ricevuto dall'oracolo l'ordine di cercare dei territori in Macedonia, arrivando ad Emazia con una grande quantità di Greci, senza che i cittadini se ne accorgessero a causa di grandi piogge e nebbia, inseguì un gregge di capre che fuggivano la pioggia, occupò la città di Edessa; e ricordandosi (revocatus "in memoria") dell'oracolo, dal quale aveva ottenuto l'ordine di cercare di ottenere il dominio con i comandanti e animali, stabilì la capitale del regno.

Auctores
Se gli uomini, così come si vede che sentono che c'è un peso nel loro animo tale da affaticarli con la gravezza, potessero conoscere anche da quali cause ciò derivi e da dove una così pesante mole di male alberghi nel loro cuore, non trascorrerebbero la loro vita come oggi per lo più vediamo che ciascuno non sa cosa vuole per se e sempre cerca di cambiare luogo come se potesse deporre il peso. Esce spesso fuori dalle sue grandi stanze colui che si è annoiato di stare in casa e subito vi ritorna,come colui che si accorge che lo star fuori non è affatto meglio.
Corre forsennatamente verso la sua villa spronando i manni, come se fosse ansioso di portare aiuto alle sue case in fiamme. Non appena ha sfiorato la soglia della sua villa immediatamente sbadiglia o sprofonda subito nel sonno e sfiora l'oblio o ancora affrettandosi raggiunge la città e torna a vederla. Così ciascuno fugge sé stesso, ma a colui il quale naturalmente come accade non è possibile sfuggire, sta attaccato suo malgrado e lo odia, per il fatto che non coglie la causa della malattia; mentre se lo vedesse bene ormai lasciate le cose, ciascuno si preoccuperebbe anzitutto di conoscere la natura, poiché è in gioco la condizione non di un'ora, ma del tempo eterno, nel quale i mortali devono aspettarsi (che scorra) tutto il tempo quale che sia che resta dopo la sua morte.

Sacrilego comportamento di Dioniso
Dioniso accompagnava i suoi sacrilegi con parole allegre. Spogliato il tempio di Proserpina a Locri, poiché viaggiava con la flotta, in alto maree col vento favorevole, ridente agli amici: ”sembrò – disse – che la buona navigazione sia donata dagli stessi dei ai sacrileghi”. Il medesimo Dioniso, sottratto dal tempo di Giove Olimpo un assai pesante mantello d’oro e posto a lui pallio di lana: “In estate – disse – un mantello d’oro è pesante, nel freddo inverno, invece è più adatto,, quello di lana invece è più adatto per entrambi i periodi dell’anno”. Si dice che lo stesso abbia tolto la barba d’oro dall’Esculopio di Epidauro: “Non è conveniente – disse – che il padre di Apollo s’è visto senza barba, ed egli stesso con la barba”. Dopo ciò a buon diritto quel tiranno sembra essere stato non solo sprezzatore degli dei ma anche beffeggiatore.
A) accompagnato da agg. neutro id
B) accompagnato da fore
C) accompagnato da utite
D) accompagnato da verbo impersonale
E) Significa sembrare bene
F) accompagnato da verbo impersonale

Felice posizione di Roma
Romolo, nato da padre Marte, si dice che con il fratello Remo da Amulio, re Albano per timore di un infausto oracolo, fosse abbandonato presso il Tevere. In quel luogo poiché già sostenuto dalle mammelle selvagge della belva e poiché i pastori lo avevano allevato e poiché lo avevano cresciuto nella coltivazione agreste e nel lavoro, si narra che per primeggiò per le forze del corpo e per ferocità dell’animo. Nei confronti degli altrettanti che tutti, coloro che allora abitavano i loro campi, gli obbedirono con animo rassegnato e liberamente. Si tramanda che per mezzo delle armate di questi essendosi offerto comandante, avesse distrutto Albalonga, grande e potente città in quei tempi e avesse ucciso re Amulio. Acquisita qualche gloria, si dice che avesse deciso di fondare una nuova città. Scelse invece per la sua città u luogo (di) incredibile opportunità. E infatti non la fondo presso il mare: infatti sembra che di quelli uomini dotati di singolare preveggenza e saggezza

Pomponio Attico conquista la stima di tutti
Attico aveva come zio Quinto Cecilio, cavaliere romano, appartenente alla famiglia di Licinio Lucullo, arricchito, per la natura difficilissima: del quale seppe trattare la durezza di carattere tanto come nessuno seppe sopportare, che seppe mantenere la benevolenza di questi senza screzi sino alla vecchiaia. Per questo fatto trasse guadagno dalla pietà. Cecilio morente infatti per testamento adottò quello e (lo) fece erede per la quarta parte: da quella eredità ricevette all’incirca dieci milioni di sesterzi. Era la sorella di attico sposa per Q. Tullio Cicerone, e M. Cicerone si era procurato quelle spose, con la quale viveva congiuntissimamente del condiscepolo, anche in maniera più intima che con Quinto, affinché possa essere considerato di valere più nell’amicizia che, confronto di moralità, la parentela. Era in relazione invece intimamente con Q. Hortensio che a quei tempi teneva il comando dell’eloquenza, affinché non potesse essersi accorto, quello dei due che più aveva amato quello, Cicerone o forse Hortensio: e, poiché ciò era difficilissimo, concluse che, tra quelli la gara di gloria fosse, e se invidia sarebbe sopraggiunta e fosse anello di congiunzione fra i due uomini.

N°21 Pag. 38
È di questa civiltà di gran lunga la grande autorità su tutte le regioni marittime di quei luoghi, poiché e i Veneti hanno parecchie navi per mezzo delle quali hanno l’abitudine di navigare in Britannia, è nella scienza e nella tradizione delle cose nautiche precedono gli altri e nel grande impeto del mare e nei poveri porti posti in mezzo al mare aperto, quali gli stessi tengono che tutti partano, coloro che dal mare affinché abbiano l’abitudine, hanno i tributi. Da questi accade l’inizio del trattenere di Silla e Ielanio e possono sorprendere. Di questi i limitrofi condotti dall’autorità, poiché sono dei galli i repentini de improvvisi consigli, per la stessa causa Trabio e Terradisio frenarono e velocemente

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Gli accampamenti difesi con zelo dalle milizie che erano rimaste come presidio. Infatti quei militari che erano fuggiti dalla battaglia con animo spaventato e sfiniti dalla stanchezza, la maggior parte dopo aver deposto le armi ed i vessilli militari, pensavano più alla restante fuga che alla difesa degli accampamenti. In verità per lungo tempo coloro che erano fermi nel vallone poterono sostenere la moltitudine dei dardi avevano abbandonato il luogo fuggirono verso gli altissimi monti, che conducevano agli accampamenti servendosi coma guide dei soldati come centurioni e tribuni.

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Nell’accampamento di Pompeo fu permesso di vedere i pergolati eretti, grandi quantità di denari, i padiglioni coperti da verdi zolle, e le tende di Lucio e di Centulo e parecchie altre protette con l’edera e molte altre cose che indicassero l’attaccamento al lusso e la fiducia nella vittoria. Perché facilmente si potesse credere che essi per nessuna ragione avessero temuto per l’esito della sua morte tanto da non andare in cerca di piaceri non necessari. Questi contrapponevano il lusso al poverissimo e pazientissimo esercito di Cesare a cui sempre mancavano le cose se non strettamente necessarie.. Mentre i nostri si aggiravano dentro le trincee salito sul cavallo tolte le insegne imperiali, uscì dalla porta Decumena e subito contese al galoppo Larisa. E lì non perseverò ma con la stessa velocità fuggendo con pochi dei suoi pervenne al mare in un itinerario notturno con l’accompagnamento della trentesima cavalleria e si imbarcò in una nave merci lamentandosi spesso, come si diceva di essere stato tanto deluso nell’aspettativa di quel genere di uomini dal quale si era visto tradito mentre davano inizio alla fuga.

Un’accanita resistenza
Fu combattuta di giorno e vigorosamente la dubbia battaglia. Più lungamente quando i nemici non poterono sostenere l’impeto dei nostri, all’altro se, affinché cominciassero, ? nella montagna, all’altro si aveva pertanto i bagagli e i suoi carri. Infatti tutta questa battaglia, svoltasi dalla settima ora alla sera, i nemici posti di fonte poté vedere. Fino a notte inoltrata ai bagagli si combatté, per questo che avevano esposto, per la valle le ruote e le lance i giavellotti gettavano e ferivano i nostri. Avendo combattuto durante il giorno, si impadronirono dei nostri bagagli e dei nostri accampamenti. Qui i figli di Argetorige e uno tra i figli fu preso. Da questo combattimento circa 130 degli uomini sopravvissero e viaggiammo ininterrottamente tutta la notte: il viaggio non interrotto in nessuna parte della notte, alla fina a Ligano arrivammo il quarto giorno, quando e perché i soldati feriti e perché la sepoltura degli uccisi non avrebbe potuto seguire quelli nelle rimanenti tre giornate.

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In tanta e tanto corrotta città Catilina, ciò perché era un fato facilissimo, di tutti i misfatti e le scelleratezze attorno a sé, tanto quanto dei ?, aveva folle. Infatti qualunque impudico, adultero, libertino, con la mano, col ventre percuotesse la buona patria, il quale redimesse il misfatto o l’altra turpitudine, inoltre tutti e dappertutto di parricide, di sacrilegio, di ? dei giudici a causa dei fatti tementi, a questo, questi la mano o la lingua alimentava con lo spergiuro o col sangue del popolo, questi perseguitava il misfatto, la povertà, il rimorso, a lui a Catilina erano i prossimi e i familiari. Perché anche se chi aveva reciso sgombri nell’amicizia di lui, era dovuto all’uso e al facile e i propri simili.

I Pompeiani cominciano a cedere (I)
Nello stesso tempo Cesare ordinò che la terza linea che era stata tranquilla e fino a quel momento si era mantenuto nel posto assegnato avanzasse. Così essendo succeduti i vigorosi e gli illesi agli stanchi, alcuni invece assalirono alle spalle, i Pompeiani non poterono resistere e batterono in ritirata. E Cesare non si era in verità ingannato sul fatto che da quelle truppe che erano collocate di contro ai cavalieri in quarta fila, comincia l’inizio della vittoria, come lui stesso aveva detto nell’incitare i soldati. Tra quelli infatti in primo luogo distrutta la cavalleria, tra gli stessi sono raccolti i corpi degli arcieri e dei frombolieri, tra gli stessi l’armata Pompeiana era circondata dalla parte sinistra e fu stabilito l’inizio della fuga.

I Pompeiani cominciano a cedere (II)
Ma Pompeo, come vide la sua cavalleria sconfitta e confidava massimamente in quella osservò quella parte spaventata, diffidato da chiunque altro, uscì dall’esercito e per mezzo del cavallo si rifugiò nell’accampamento senza fermarsi e ai suoi centurioni nel posto di guardia aveva collocato presso la porta pretoria, chiaramente. Affinché i soldati udissero distintamente: “Proteggete – disse – l’accampamento e difendete diligentemente, se qualcosa ? sarà accaduto. Io circondo le restanti parte a rafforzo”. Avendo detto queste cose, sii rifugiò nel pretorio diffidando dell’esito finale e ciononostante aspettante l’evento. Cesare spinti i Pompeiani alla fuga nella valle, stimante che nessuno spazio fosse necessario di essere concesso agli spaventati, esortò i soldati affinché utilizzassero il beneficio della fortuna e assalgono l’accampamento. Quelli, anche se affaticarti dal calore( infatti la cosa si era prolungata oltre mezzogiorno), nonostante risoluti di ogni sforzo, furono sottomessi al comando.

Il territorio e le popolazioni
La Gallia è nel suo insieme divisa in tre parti, delle quali i belgi abitano una, gli Aquitani un’altra, la terza coloro che sono chiamati nella stessa lingua dei Celti e chiamata nostra dei Galli. Questi si differenziano tra loro per lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna divide dai Belgi 8I Galli). Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il fatto che sono distanti dalla civiltà e dalla cultura della provincia e per niente spesso i mercanti capitano nel loro paese e le cose che mirano ad indebolire gli animi, importano e sono vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno, con questi combattono continuamente. Per questo gli Elvezi superano anche i rimanenti Galli in virtù, perché combattono quotidianamente guerre con i Germani, o quando li tengono lontani dai loro territori o gli stessi combattono nei loro confini una parte dei territori che, come si è detto è occupata dai Galli ha inizio del fiume Rodano, è limitata dal fiume Garonna, dall’oceano, dai confini dei belgi, confina anche dalla parte dei Sequani e degli Elvezi. I belgi hanno origine dagli estremi confini della Gallia si estendono fino alla parte inferiore del fiume Reno, guardano verso il sole che sorge. L’Aquitania si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei e questa parte dell’oceano che è vicino alla Spagna, si estende guarda verso al tramonto del sole e a settentrione.
incolo, is, inedui, incultum, incolerea
appello, as, avi, atuma, are
differo, differs, diftuli, dilatum, differre
divido, is, si, sum, dere
absum, abes, abfui, abesse

I pricipes factionum
In Gallia non soltanto in tutte le città e in tutti i villaggi ma anche in ciascuna famiglia ci sono partiti e di loro sono i capi delle tribù che apparsi a giudizio di ? avere somma autorità in ogni decisione. Pare che questa tradizione sia stata istituita in epoca antica per questo, affinché nessun cittadino della plebe fosse privo di protezione contro uno più potente. Ciascun capo infatti non sopporta che i suoi siano oppressi e ingannati e se facesse altrimenti non avrebbero alcuna autorità fra i suoi. Questo costume regna in generale in tutta la Gallia e perciò tutte le popolazioni furono divise in due parti.
sum, es fui, esse
habeo, es, ui, itum, ere
videor, eris, visum sum, videri
ageo, es, agui, ere
divido, is, si divisum, ere

Druidi e Cavalieri
Vi sono due tipo in tutta la Gallia di quegli uomini, che sono di un certo numero e onore. Infatti la plebe è quasi considerata al pari dei servi, che niente da sola per mezzo di se stessa e non viene convocata per nessuna decisione. La maggior parte quando sono incalzati o dal debito o dalla grandezza dei tributi, o dalla ingiuria di potenti si consacrano alla servitù. Ai nobili nei confronti di questi sono gli stessi diritti che sono ai padroni nei confronti degli schiavi. Fra questi due gruppi sociali uno è dei druidi, l’altro dei cavalieri. Quelli prendono parte alla cerimonie sacre, compiono sacrifici pubblici e privati, interpretano i segni religiosi; presso questi accorre un grande numero di giovani per la cultura e questi sono in grande onore presso quelli. Infatti, decidono quasi tutte le controversie pubbliche e private, e se qualche omicidio è stato commesso, se una strage è stata fatta, se dell’eredità dei confini è controversa, gli stessi decidono, e assegnano premi e pene. Se qualcuno o da privato o da pubblico non si è attenuto alla legge di quelli lo allontanano dalle cerimonie pubbliche.
sum, es fui, esse
habeo, es, ui, itum, ere
audeo, es, auditus sum, audere
premo, pressi, pressum, ere
dico, is, dicavi, dicatum, are
procuro, as, avi atum, are

Druidi e Cavalieri (II)
Questa punizione presso essi è gravissima: coloro ai quali così fu vietato, questi ai quali è stato così vietato e scellerati tutti si allontanano da loro, di loro evitano la loro frequenza e il dialogo affinché abbiano alcun danno dal contatto dei dannosi, e non viene resa giustizia a questi qualora la chiedano e ne alcune cariche pubbliche è condivisa. Inoltre a tutti questi druidi presiede uno solo, che tra loro ha una somma autorità. Dopo che questo morì e se questo esce dalla religione, con dignità o succede, se chi sono parecchie parti, per suffragio viene eletto il druido; giammai si contendono per il primato questi in certi periodi dell’anno si riuniscono in un territorio consacrato nella regione dei Carnuti. Qui si radunano tutti coloro che hanno controversie e obbediscono ai loro giudizi decretanti.

Druidi e Cavalieri
I Druidi sono soliti astenersi dalla guerra né versano i tributi insieme agli altri. Molti vanno alla scuola spontaneamente incitati da tanti premi servizio militare e l’immunità di tutte le cose e altri sono mandati dai genitori e dai familiari. Si dice che qui imparino a memoria un gran numero di versi. Pertanto alcuni rimangono a scuola vent’anni per ciascuno; e pensano che sia lecito affidare quelle cose alle lettere usando nelle restanti cose sia pubbliche che private servano delle lettere greche. Mi sembra che abbiano stabilito ciò per due motivi perché ne vogliono che la dottrina sia diffusa nel popolo ne che quelli che imparano confidando nelle lettere si affidino meno alla memoria; questo in genere avviene che rallentino la diligenza nell’imparare e la memoria a causa del ? e delle lettere. Fra le prime cose vogliono persuadere riguardo a ciò che le anime non muoiono ma che le anime passano dall’uno all’altro e soprattutto questo ritengono e ciò sono spinti alla virtù essendo stato messo da parte il dolore della morte. Inoltre discutono molte cose circa gli astri e il loro movimento sulla grandezza del mondo, ?; sulla natura, sulla potenza degli dei mortali.

Druidi e Cavalieri
L’altra classe è dei cavalieri. Questi quando c’è bisogno e capita qualche battaglia – che prima dell’avvento di Cesare era solita accadere ogni anno che essi stessi portare offese o respingessero gli attacchi portati – tutti (questi) dedicano alla guerra, e fra questi più uno è importante e per stirpe e per abbondanza tanto più ha intorno a sé parecchi seervi e clienti. Conoscono solo questa forza e potenza.
sum, es fui, esse
fero, fers, tuli, latum, ferre
infero, infers, intuli, illatum, inferre

Papirio Cursore
Fu un uomo senza dubbio degno per tutti della lode guerresca, eccellente non solo per il vigore dell’uomo, ma anche nelle forze del corpo. La singolare agilità dei piedi era dentro di lui, la quale diede anche il soprannome; e dicono che era stato vincitore di tutti nel corso della sua vita o per la forza degli uomini o per la molta pratica, di cibo e di vino lo stesso (eccezionale mangiatore) capacissimo; ne più aspro con alcuno, poiché lo stesso fosse invincibile al lavoro del corpo, che il servizio militare fosse alla fanteria in uguale modo alla cavalleria. E una straordinaria forza era in quell’uomo di autorità allo stesso modo nei soci e nei cittadini, Il pretore di Preneste per timore aveva condotto i suoi alquanto poiché tra le truppe in prima fila; che poiché andava su e giù davanti alla tenda fu ordinato che fosse chiamato, ordinò che il ? togliesse la scure.

Dario muore alla conquista della Grecia
Dario invece, essendo tornato dall’Europa in Asia, gli amici esortati affinché riconducesse la Grecia sotto il suo potere; allestì una flotta di cinquecento navi e a questa mise a capo Dati e Artaferne, e a quelli diede duecentomila fanti, diecimila cavalieri, adducendo il pretesto che egli sia nemico degli Ateniesi, poiché con l’aiuto di quelli gli Ioni conquistarono i Sardi e distrussero i loro presidi. Quelli Satrapi, approdati con la flotta a Bubonea, velocemente presero l’Eretria e mandarono al re in Asia tutti i cittadini rapiti di quella gente. Quindi accedettero all’Attica e condussero le loro armate nel campo di Maratona: quello è a circa diecimila passi dalla città di Atene.

Annibale giunge in Italia
Annibale fatto comandante a meno di 25 anni, nei tre anni seguenti sottomise tutte le genti della Spagna, espugnò Sagunto, città confederata, con la forza unì tre eserciti molto grandi. Tra questi mandò uno in Africa, un altro lo lasciò col fratello Asdrubale in Spagna, il terzo condusse in Italia con sé. Superò il valico dei Pirenei. Ovunque andasse, combatté con tutti gli abitanti: non lascio andare nessuno se non vinto. Dopo che giunse alle Alpi che separano l’Italia dalla Gallia, che mai nessuno con un esercito prima di lui eccetto Ercole aveva passato (per questo fatto quello[il passo] è chiamato oggi il passo Greco), annientò gli Alpigiani che tentavano di impedirgli il passaggio, fortificò i sentieri, e fece in modo che per quei sentieri un elefante equipaggiato potesse passare.

Il cursur honorum
Marco Catone, nato nel municipio di Fuscolo, adolescente, prima di dedicarsi alla carriera politica, visse tra i Sabini, poiché lì aveva un podere lasciato dal padre. Quindi per esortazione di C. Valerio Flacco, che ebbe collega nel consolato e nella censura(carica del console) emigrò a Roma e cominciò fare l’avvocato. Meritò il primo stipendio militare a 17 anni. Fu tribuno militare in Sicilia, sotto Quinto Fabio e M. Claudio consoli. Quindi come ritornò, seguì l’accampamento di C.C.N., e al sua grande opera fu molto stimata nella battaglia presso la Sena, nella quale cadde Asdrubale, fratello di Annibale. Fu eletto Edile della plebe con C. Elvio. Divenne pretore della provincia di Sardegna, dalla quale tempo prima aveva condotto Quinto Ennio il poeta, il che stimiamo meno di qualsiasi grandissimo trionfo in Sardegna.

Filippo, Alessandro, Pirro, Dionisio
Tra la gente macedone due superano di molto gli altri per la gloria delle gesta: Filippo, figlio di aminta, e Alessandro Magno. Uno di questi due consumato dalla malattia a Babilonia, Filippo fu ucciso dagli Egeati, mentre andava a vedere i giochi vicino al teatro. Un Epirota, Pirro, che combatté contro il popolo romano. Egli mentre espugnava la città di argo nel Peloponneso, colpito da un sasso, morì. Uno del medesimo genere Siculo, il vecchio Dioniso. Infatti fu sia forte meno che esperto in guerra e, che non è facile da trovare in un tiranno, minimamente avido, non lussurioso, non avaro; e infine per niente cupido di alcuna cosa se non

N°4
È questa vecchia opinione, che sussiste dalle antichissime testimonianze scritte dei Greci, secondo ciò tutta l’intera isola di Sicilia sia consacrata a Cerere e Libera. Infatti credono (si crede) che queste dee siano nate in quei luoghi, che il grano in quelle terre venga ottenuto per la prima volta che sia stata rapita Libera, la quale medesima chiamano Proserpina, dal bosco degli abitanti di Enna (dagli abitanti del bosco di Enna), il quale luogo, che è situato nel centro dell’isola, è chiamato l’ombelico della Sicilia. Cerere avendo voluto investigare e cercare quella, si dice che avesse acceso le torce con quei fuochi che fuoriuscivano dal vortice dell’Etna. Enna d’altra parte è in un luogo elevato e prommente che nella sommità del quale vi è una pianura spianata del terreno e le acque perenni: tutta in verità è scosceso a picco da ogni avvicinamento(parte). All’intorno di questa ci sono un lago, dei boschi e parecchi e rigogliosi fiori in ogni tempo dell’anno.

De Bello Gallico Libro VI XXVI-XVII
C’è un bue con la forma di un cervo, del quale dal centro della fronte tira le orecchie spunta un unico corno più eminente de diritto di quelle, che sono note a noi, corna; dalla sommità di questo si dipartono per ampio tratto rami simili alle palme di una mano. La stessa è la natura della femmina e del maschio, stessa (è) la forma e la grandezza delle corna. Vi sono ugualmente animali che sono chiamati alci. Di questi la forma e la varietà delle pelli è del tutto simile alla capre; ma precedono un poco per grandezza e sono senza corna e hanno le gambe senza giunture e sono senza articolazioni, né si sdraiano per dormire né, se per qualche accidente cadono, non possono ergersi e sollevarsi. Per questi gli alberi sono come giacigli: a quelli si appoggiano e solamente cosi si addormentano un poco. Il terzo è il genere di quelli, che sono chiamati Uri. Questi sono un poco per grandezza più piccoli degli elefanti, con l’aspetto, colore e figura del toro Grande è la loro forza e grande velocità, risparmiano né l’uomo né le fiere, che avvistano. L’ampiezza e le figura è la specie delle corna differisce molto dalle corna dei nostri bovi.

Estrema difesa di Salona contro le forze Pompeiane
Per la ritirata delle navi Liburniche dall’Illiria Marco Ottaviano con queste, che aveva, non pervenne a Salona. Lì sollevati i Dalmati e i restanti barbari respinse Issa dall’amicizia di Cesare; la comunità dei cittadini romani a Salona, non potendo muovere né con promesse né con avvertimenti di pericolo, iniziò ad attacare la fortezza. D’altra parte della città è fortificata della natura del luogo.Ma velocemente i cittadini romani, costruite torri di legno, si fortificarono con queste e, essendo deboli per resistere a causa della scarsezza di uomini, sfiniti dalle numerose ferite, risolsero per un estremo mezzo di salvezza e liberarono tutti i servi schiavi adulti e tagliati i capelli di tutte le donne ne fecero delle corde. Saputa l’intenzione di quelli, Ottavio circondò la fortezza per mezzo di cinque accampamenti e in un momento cominciò che quelli assalirono per mezzo dell’assedio e dell’espugnazione. Quelli lavoravano al frumento tutti interrotti massimamente esperti. Per queste cose mandati a Cesare degli ambasciatori, gli chiedevano aiuto; i restanti scomodi come poterono, si sostenevano da soli.

N°12
Era allora tra i cavalieri il tribuno militare Aulo Cornelio Cosso, di singolare per la bellezza del corpo, eguale per animo e per le forze, e memore della famiglia che maggiore e più onorata ricevuta ragguardevolissima lasciò ai posteri. Egli vedendo all’assalto di Tolumnio gli squadroni romani trepidanti e essendo venuto a sapere, quello straordinario che correva di qua e là e portamento regole per l’esercito schierato. È questo qui – disse – il trasgressore del patto dell’uomo e il violatore del diritto delle genti? Già io offrirò questa vittima sacrificata ai Mani, clemente se gli dei vogliono che qualcosa di santo sia in terra. E si scagliò dato di sprone con la lancia pronta per essere scagliata un solo nemico: che essendo caduto da cavallo per il colpo, e subito egli stesso appoggiandosi alla lancia la ebbe estratta dai suoi piedi, Lì con lo scudo fa cadere il ree che tentava di alzarsi, colpì il ree più volte con la lancia e lo inchiodò a terra. Allora il vincitore sottratte le spoglie dell’esangue e recisa la testa spense col terrore ? col terrore, portando i nemici uccisi de re con il giavellotto.

N°13
Giugurta, quando stimò che i legati romani si erano allontanati dall’Africa, e non poté espugnare con le armi Cirta per la natura del luogo, circondo le mura con una trincea e con una fossa, innalzò delle torri e rafforzò quelle con delle guardie; inoltre attaccarla giorno e notte o con la forza o con delle astuzie, prometteva ora premi ai difensori delle mura, ora li minacciava, incitava i suoi con l’esortare alle virtù, insomma predisponeva ogni ?. Aderbale quando si accorse che tutte le sue speranze erano riposte nell’estremità, che era minaccioso il nemico, che la speranza di aiuto era nulla, che la guerra non poteva essere continuata per la penuria delle cose necessaire, tra quelli, che si erano rifugiati a Cirta contemporaneamente, designò due massimamente attivi: persuase quelli col promettere molte cose e col commiserare la sua disgrazia, a dirigersi attraverso le fortificazioni dei nemici, nottetempo fino al vicino mare, in segiuto a Roma.


Un tribuno preannuncia ai soldati l’eclissi di luna
Fortificato completamente l’accampamento Caio Semplicio Gallo, tribuno dei soldati della seconda legione, che era stato capo l’anno precedente, convocata l’assemblea con il permesso del console proclamò ai soldati convocati che la seguente, perché non prendessero ciò come presagio, che la luna sarebbe stata sul punto di mancare dall’ora quarta della notte. Ciò perché avvenisse in tempi stabiliti e con ordine naturale, sia per essere saputo, sia per poter essere detto. E così in modo che, poiché fossero certi sia del sorgere sia del tramontare del sole della luna, non si meravigliassero che la luna risplendesse ora in pieno cerchio, ora decrescente in uno stretto corno, così che nemmeno l’essere oscurato mettendolo insieme all’ombra della terra, non dovesse essere trasformato in prodigio. Di notte, il giorno prima che arrivasse il giorno della nona di settembre, all’ora divulgata quando la luna mancò, i Galli furono visti dai soldati romani con saggezza quasi divina; né diversamente il profeta, annunciando il tramonto del regno e la rovina della gente mosse i macedoni tenendo conto di un triste presagio. Nell’accampamento dei macedoni ci fu il clamore e le urla finché al luna apparì nella sua luce.

Ammirazione per Alcibiade degli storici più autorevoli
Tre bravissimi storici esaltarono con grandissime lodi Alcibiade denigrato da molti: Tucidide, che fu dello stesso periodo, Teopompo, nato dopo un certo periodo, e Tuneo: tuttavia questi due estremamente maledicenti furono d’accordo nel lodare proprio quello, non so in che modo. Infatti quelle cose, che abbiamo scritto prima, dissero di lui più e più di questo; poiché nacque ad Atene, durante la gloriosa civiltà; poi espulso si recò a Tebe, così unì agli studi di loro, che nessuno seppe eguagliarlo nella fatica e nella forza fisica (infatti i Beozi servono tutti maggiormente per la consistenza del corpo che per la vivacità dell’ingegno), lo stesso presso gli spartani, dei quali per costumi la somma virtù era messa nella pazienza, così fosse data a lui insensibilità, come la parsimonia di viltà e di rispetto provarono tutti gli spartani gli spartani; stette presso i Traci, uomini violenti dediti alle cose di Venere. Anche questi anticipasse in queste cose; andò dai Persiani presso i quali era somma lode andare a caccia fortemente, vivere dissolutamente: di loro così ho imitato le abitudini, come loro stesso ammirano lui in quello. Con le quali cose fece come, presso chiunque fu.

Un presagio benaugurante I
Poiché i veienti, spinti dai romani dentro le mura, non potevano essere catturati con una guerra lunga e dura, poiché quel ritardo sembrava intollerabile, gli dei immortali manifestarono con un meraviglioso prodigio la strada della vittoria. Improvvisamente il lago Albano non aumentato dalle piogge celesti e non aiutato dall’inondazione di alcun fiume superò il solito livello di stagno. Per esaminare quella cosa sembrò opportuno ai romani mandare ambasciatori all’oracolo di Delfi. Gli ambasciatori riferirono dei pregi venivo il consiglio che diffondesse l’acqua del lago per i campi; così infatti Veio sarebbe caduto nel dominio del popolo romano.

Gente dei tempi andati
Brescia è la patria di dei Minucio, di quella nostra Italia che sino ad ora tiene e conserva molta della timidezza, dell’onestà ed anche della semplicità antica. Padre di lui è Minucio Matrino, capo dell’ordine equestre, perché non ha voluto nulla di più alto e riteneva essere abbastanza di stima per lui quell’ordine. Infatti scelto dal divinizzato Vespasiano tra i pretori, antepose l’onesta alla nostra ambizione, insofferente dalle preoccupazioni. Ha nonna materna Serrana Procina con municipio di Padova. Ha conosciuto luoghi e modi, Serrana, tuttavia non solo è memore dell’antico pudore, ma è anche prova della severità dei Padovani Ha eguaglio sia lo zio materno sia P. Acilia per serietà, per prudenza, per una lealtà ? ?, Nell’insieme in tutta la casa non ci sarà niente, che non ti piacerà come nella tua.

Doveri dei giovani
(…)Gli uni sono dei giovani, gli altri sono doveri degli anziani. È proprio degli adolescenti avere rispetto per i più vecchi ed eleggere tra di loro i migliori ed i più buoni, con il consiglio ed il parere dei quali sostiene, poiché l’inesperienza giovanile dell’età deve essere creata e retta con la prudenza degli anziani. Ma quella età della moltissima voglia deve essere ritenuta ed essere esercitata nel lavoro e nella pazienza sia nell’anima che del corpo. E infatti, quando vogliono rilassare gli animi e dorsi alla scherzosità evitando la smodatezza, ricordando della fanciullezza. (…)

Astuzia degli Spartani
Invece i vecchi spartani, quando volevano nascondere ed occultare le lettere pubblicamente mandate ai loro comandanti, affinché non fossero prese dai nemici, non fossero conosciute le loro decisioni, mandavano lettere fatte in qualche modo. I due bastoncini erano lisci, allungato, dello stesso spessore e della stessa lunghezza, lucidati e ornati similmente; uno era stato dato al comandante che partiva in guerra; i magistrati avevano l’altro in casa con il diritto e con il simbolo connesso. Quando l’abitudine pre diffusa delle lettere molto segrete, piegavano attorno a quel bastoncino una cinghia di scarsa sottigliezza, tuttavia quando era sufficiente, al bisogno con una forma rotonda e semplice, così che i margini uniti da ogni parte e se unissero alla cinghia, che era piegava. Quella cinghia avvolta attorno al bastoncino con le lettere così incisa dal comandante consapevole della strategia. Tuttavia lo sciogliere della cinghia restituiva le lettere dalla cinghia tagliate e incomplete e sparivano le frasi e i segni di quelle in parti diversissime.

La parsimonia di Catone
M. Catone, consolare e censore, dice che le sue fattorie rimasero incolte e incomplete fino al settantesimo anno della sua età. E dopo aggiunge con queste parole, dice: “Né mi è prezioso né un edificio né un vaso né alcun vestito né il servo, né una serva. Se c’è qualcosa di cui servirsi lo uso; se non c’è ne faccioa meno. Achiunque è lecito servirsi e godere del suo, secondo me”. Ma poi aggiunse: “Per me si cambiano in vizio, perché manco di molte cose,, ma iole volgo contro di loro poiché dicono di non mancare”. Questa verità di catone, il qual se dice di fare ameno di molte cose né di qualsiasi cosa, allora induce a desiderare sopportando la povertà più che le parole di coloro che se dicono di filosofare ne se viene meno il denaro ? poiché qualcosa ? mentre ? per il di avere.

Carattere di Lepido adolescente
Il ragazzo Emilio Lepido allora disfò anche l’avanzata nella schiera nemica, salvava il cittadino. Del quale una statua a forma di balla e conta con al toga è posta nel Campidoglio incice a così memorabili opere, senatus consulto: infatti pensava ingiusto che lui non sembrasse ancora proprio all’onore, che già fosse maturo per la virtù. Infatti Lepido prevenì fortemente il rafforzamento dell’età con la rapidità del fare è ritorno dalla guerra la doppia lode, di cui soffrivano lui essere ? spettatore dell’età: infatti ai giovani incute alquanto terrore l’esercito nemico, sia le spade sguainate, sia lo spargersi dappertutto della frecce, sia il rumore dell’arrivare della cavalleria, sia l’impeto dell’esercito accorrente, tra quelle cose della gente Emilio la fanciullezza merita la corona, può afferrare i boltini.

Un sogno profetico
Eterio Rufo, dando a Siracusa uno spettacolo di gladiatori, vide se essere trafitto, durante il riposo per mano di un reziario e il giorno seguente lo raccontò durante lo spettacolo a chi gli sedeva vicino. Quindi accade che fosse introdotto un reziario con un mirmillone vicino ai posti riservati ai cavalieri. Dopo che vide l’aspetto di questo disse agli stessi di aver pensato di essere trucidato da quel reziario e volle subito allontanassi da lì. Quelli, allontanando con il loro discorso il suo timore provocarono la causa della morte dell’infelice: infatti il reziario, in quel luogo spinto il mirmillione e gettatolo a terra, mentre tentava di colpire il mirmillone che giaceva, uccise Eterio dopo averlo trafitto con la spada.

Che cos’è l’amicizia
Infatti in quanto l’amicizia è superiore alla parentela, che dalla parentela l’affetto si può eliminare, il titolo di amicizia si elimina, di parentela rimane. Quanta d’altra parte sia la forza dell’amicizia soprattutto da questo si può capire principalmente, che dall’infinita società del genere umano, la quale la stessa maturità ha conciliato, la cosa è stata raccolta e ridotta in limiti ben precisi, così che tutto l’amore sia stato riunito tra due o tra pochi. L’amicizia infatti non è nient’altro il consenso di tute le cose divine e umane con al benevolenza dell’amore; per questo non so se non infatti sottratta la sapienza, niente sia stato dato di migliore all’uomo dagli dei immortali. Altri preferiscono la ricchezza, altri la buona salute, altri la potenza, altri l’onore, molti anche i divertimenti. Questa estrema è certamente delle bestie (da bestie), queste cose più superiori sono inutili e incerte, poste non tanto nei nostri consigli quanto nei casi della sorte. Coloro che invece pongono nella virtù il sommo bene, quelli per di più fanno meravigliosamente, ma questa stessa virtù sia generi, sia conservi l’amicizia, l’amicizia non può essere senza virtù in alcun modo.

Un cavallo davvero singolare I
Gavio Basso nel suo libro di memorie, così pure Giulio Modesto tramandano con memoria ed ammirazione al degna storia di un cavallo di Seaino: dicono che quel cavallo era di una nuova grossezza, con un collo alto, di colore purpureo, con una criniera florida e chiomata, con tutte le altri lodi dei cavalli e eccelleva anche in lunghezza; ma raccontano che lo steso cavallo fosse tale per una mlaedizione o per la sorte che chiunque lo aveva e lo possedeva, (ut) egli per tutti i doni andavano in rovina, con la famiglia e con tutte le sue ricchezze fino alla strage. E così (…) a M. Antonino che fu in seguito triumvirato incaricato della riforma della costituzione dello stato, (…) nel medesimo periodo il console Cornelio Dolobella, partito in Siria, con (…).

Un cavallo davvero singolare II
Ma anche lo stesso Dolobella durante la guerra civile in Siria, si racconta che sia stato assediato e massacrato; in seguito lo stesso cavallo, che era stato di Dolobella (…)

Archimede
Direi che l’attività anche di Archimede fu redditizia se non lo stesso a quello avesse dato e tolto la vita. Infatti presso Siracusa, Marcello aveva percepito che la sua vittoria era stata impedita molto e per lungo tempo dalle sua macchine: tuttavia attratto dall’eccellente saggezza dell’uomo, ordinò che fosse risparmiata la testa di quello, rispondendo quasi tanta gloria in Archimede salvato, quanto in Siracusa vinta. Ma quello, mentre tracciava figure geometriche con gli occhi e la mente fisse a terre, al soldato, che era entrato in casa per depredare, e sguainare (…).

Pompeo temporeggia
Pompeo, che aveva gli accampamenti nell’altura, schierava l’esercito in ordine di battaglia alle falde più basse del monte, sembrava che, sempre aspettando 8aspettante) se Cesare si riducesse a posizioni sfavorevoli. Cesare stimando che Pompeo potesse essere stanato da se in nessun modo per il duello giudicò che questa la miglior condotta di guerra, per spostare l’accampamento fuori da quel luogo e fosse sempre in cammino, mentre questo guardare, poiché potesse avvalersi di migliori e più frequenti approvvigionamenti di grano per muovere gli accampamenti e andare per luoghi ?, e contemporaneamente per trovare nel cammino una qualche occasione di combattere e stancasse l’esercito di Pompeo non abituato alla fatica con viaggi quotidiani, Da queste determinate cose, già con il segno delle partenza data e smontando le tende, si accorse poco prima, altri alla consuetudine congius da un palo che l’accuratezza di Pompeo fosse progredita, poiché non sembrava possibile combattere in un luogo così accidentato.

Il dramma di Attilio Regolo
È ingiusto non fare menzione dell’animo coraggioso di Attilio Regolo che fu mandato a Roma dai Punici per persuadere i suoi concittadini restituissero i prigionieri. Poiché non aveva voluto persuadere i concittadini, poteva rimanere a casa ma preferì tornare, sia che volesse conservare la parola data, sia che sperasse che i Punici fossero meno crudeli. Egli non doveva ritornare, (…), doveva fare (…).

L’esercito persiano in marcia
L’ordine di marcia era tale. Il fuoco, che gli stessi chiamavano sacro ed eterno, era portato sull’altare argenteo. Gli indovini vicini cantavano canti degli avi. 365 giovani seguivano gli indovini, coperti di vestiti porpora, un numero uguale ai giorni di tutto l’anno; infatti anche per i persiani l’anno è diviso in altrettanti giorni. Appresso i cavalli bianchi trasportavano il carro consacrato a Giove; un cavallo di grandezza unica, che chiamavano del sole, seguiva questo. I vestiti rami d’oro e bianchi ornavano i cavalli del re. Non erano lontani dieci carri cesellati con oro e argento. Seguivano questi i cavalieri di dodici popolazioni con varie armi e maniere. Subito dopo che i Persiani chiamavano immortali, camminavano a dieci miglia. Il colto non onorava più gli altri delle ricchezze straniere; quelli avevano collane auree, alcuni (avevano) il vestito fregiato con l’oro e tuniche fornite di maniche anche ornate di pietre preziose. Dopo un breve intervallo seguono quelli che chiamavano parenti del re, 15000 uomini. Quella davvero una folla, abbigliata quasi ala maniera delle donne, era ammirabile più per il lusso che per la bellezza delle armi.

Non sai sfruttare la vittoria!
Quando gli altri che stavano attorno si congratularono con Annibale vincitore, e persuaderono, portata a compimento tanta battaglia, e poiché lo stesso sia prese a se sia detto ai soldati stanchi ciò che era restato dei giorni e la quiete della notte, Maarbale prefetto dei cavalieri, convinto di non essere cessato, disse: “Piuttosto, poiché sai che sia condotto questa battaglia, vincitore banchetterai nel Campidoglio nel quinto giorno. Seguimi ?; andrò avanti con la fanteria, che sappiamo che tu sei giunto, prima ancora che dovresti arrivare. Ad Annibale la situazione era sembrata eccessivamente favorevole e troppo grande perché possa accettarla immediatamente. Perciò disse che lodasse la volontà di Maarbale. Ma c’era bisogno di tempo per preparare un piano, tuttavia Maarbale: “Gli dei non hanno dato veramente alle stesse persone tutte le cose: tu sai vincere Annibale, non sfruttare la vittoria”. Si crede che il ritardo di quel giorno fosse sufficiente alla salvezza per Roma e per il suo potere”.

Alcibiade il processo delle Erme
Durante la guerra del Pelopponeso con il consiglio e l’autorità di Alcibiade gli Ateniesi dichiararono guerra ai Siracusani. Egli stesso fu eletto comandante per portare avanti ciò, inoltre gli furono dati due colleghi, Nicio e Lamaco. Mentre preparava quella, prima che la flotta uscisse, accadde che i una sola notte tute le Erme, che erano nella città di uno, vennero buttate e terra tranne una, che stava davanti alla porta di Andocide. Così quella dopo fu chiamata Mercurio di Andocide. Mentre appariva che questo non era stato fatto senza un grande accordo di molti, poiché era stato utile non alle cose private, ma allo stato, un grande timore fu incassa ad un gran numero, poiché una qualche forza improvvisa esiste nei cittadini, che aveva schiacciato la libertà del popolo. Sembrava che soprattutto testimonianze contro ad Alcibiade, poiché era stimato sia più potente sia come più illustre dei privati. Infatti aveva superato molti con la generosità, aveva reso molti suoi anche con il lavoro di avvocato. Per ciò accadeva che, ogni volta che si era mostrato in pubblico, attrasse su di se gli sguardi di tutti e che qualcuno non era posto pari a lui nella cittadinanza. Perciò non solo avevano la massima speranza in egli ma anche timore, questa cosa poteva nuocere moltissimo nuocere e giovare anche una cattiva reputazione, si diceva che celebrava i misteri in casa sua: ciò era empietà per la tradizione degli Ateniesi, e questo non per la religione, ma era giudicato per una congiura che si diffondeva.

Strage dei belgi
Stabilita questa cosa, usciti dall’accampamento al secondo turno di sentinelle con molto strepito e tumulto, senza un odine e non un comando, quando ciascuno si cerca per primi la strada migliore e si affrettano a tornare a casa, fecero si che la partenza sembrasse simile alla fuga. Cesare informato dagli osservatori, temendo le imboscate che si ritrovano, e per questa ragione non avevano ispezionato trattene l’esercito nell’accampamento. Allo spunto del giorno, confermate la notizia degli esploratori, mando avanti tutta la cavalleria, in modo da fermare la retroguardia, comando l’ambasciatore T. Lobieno di seguirla con 3 legioni. Questi, assalita ed inseguita la retroguardia, per molte miglia, massacrarono una grande moltitudine da loro fuggiti, poiché dalla retroguardia si collocavano e sostenevano con forza l’impeto dei nostri soldati, i primi poiché sembravano essere lontani dal pericolo ed essere composti da alcune necessità ed ordini, udito il tumulto e sconvolto le file, tutti mettevano la guarnigione in fuga da loro. Così senza nessun pericolo i nostri uccisero un gran numero di loro e quanto fu la durata del giorno e verso il tramonto del sole cessare di inseguirli e accolsero loro nell’accampamento così come era comandato.

I veri beni della vita
Aristippo filosofo socratico, poiché avere rivolto l’attenzione al disastro presso al spiaggia di Rodi trattate la geometria con un giro di parole, avendo guidato contro i compagni così ebbe detto: “Speriamo bene! Infatti vedo le impronte degli uomini. È immediatamente andò nella città di rodi e andò direttamente a finire nel ginnasio, e qui discutendo della filosofia, fu donato, poiché non tanto per prepararsi, ma anche a loro., i quali nello stesso tempo saranno stati sia i vestiti sia le quali cose che sono necessarie per il nutrimento. Affinché fosse superiore poiché d’altra parte aveva voluto che i compagni di lui ritornassero in patria e poiché lo interrogò, pochi voleva qualcuno che non avrebbe rinunciato alla cosa, allora ordinò che dicessero: “In tal maniera per il viaggio ai figli è opportuno che si prepari, per le quali così anche dal disastro nello stesso tempo possono enare da un naufragio”. Infatti quelle protezioni sono il mezzo di sopravvivenza, alle quali potevano nuocere né il sfavorevole di fortuna, né il mutamento delle cose pubbliche, né la devastazione della guerra.

Antidoto di Mitridate
Si dice che le anatre del ponto si nutrano davanti a tutti col mangiare veleno. È stato scritto anche da Leneo, liberto di Pompeo, che Mitridate, famoso re del Ponto, fosse abile dei rimedi e dell’arte medica e fosse solito mischiare il sangue di quelle ai medicamenti, poiché servono nel digerire il veleno, ed anche quel sangue fosse potentissimo in quella fattura; ma (è stato scritto) che lo stesso re s guardasse dalle insidie dei cibi con l’uso continuo di tali medicinali, che anzi ne bevesse consapevolmente anche altre sia e spesso per mostrare gli effetti di un veleno rapido e di grande efficacia e che ciò fosse senza danno. Per cui poi, quando vinto in battaglia fuggì nell’ultima parte del suo regno e aveva deciso di morire dopo aver provato ad affrontare inutilmente la morte un veleno violentissimo, trapassò sa stesso con la sua spada. L’antidoto di questo re è famosissimo, che è chiamato, “Mitridatico”.

Datame si salva da un attentato
Ma il re, poiché provava un odio viscerale nei confronti di Datame, essendosi reso conto che questi non poteva essere ucciso in guerra, tentò di eliminarlo mediante delle insidie: ma costui le evitò quasi tutte. Datame poiché ricevette un messaggio che certi tendevano a lui un agguato, quelli che erano nella categoria degli amici; volle provare se gli fosse stato riferito il vero o il falso. E così si recò là, per la strada nel quale avevano detto ci sarebbero state le insidie. Ma scelse (un tale) con corporatura e statura più simile alla sua e a lui diede il suo abito e ordinò che lui andasse dove lo stesso aveva stabilito; ma lo stesso equipaggiato e vestito da militare cominciò a fare il viaggio col guardie del corpo. Al contrario gli assalitori, dopo che l’esercito arrivò in quel luogo, ingannati dal vestito, si lanciano contro lui che era sostituito. Tuttavia aveva avvisato quelli con i quali faceva il viaggio, perché fossero preparati lo stesso che ebbero visto forse a lui. Quello, poiché fece attenzione agli insidiatori accorrenti, lanciò a loro dardi. Dopo che ebbe fatto lo stesso con tutti prima che accorressero quelli che volevano aggredire (a) lui, morirono.

Orazio Coclite
Mentre gli Etruschi irrompevano nella città per un fatto di travi, Orazio Coclite occupò la parte estrema di quello e affrontò l’esercito dei nemici, mentre dietro di le sue spalle il ponte4 fosse squarciato, con una infaticabile battaglia, quando vide ila patria liberata da un pericolo imminente, armato si gettò nel Tevere. Gli dei immortali meravigliati della forza di quello, assicurarono a lui una totale incolumità: infatti né scosso dall’altezza della caduta, né oppresso dal peso dell’armamento, né spinto da qualche vortice del fiume, neppure dalle frecce, che si raggruppano da ogni parte, danneggiato, ebbe del nuotare un ?. E così uno, attirava su di sé gli sguardi di tutti i nemici, dei tanti cittadini essendo stupiti quelli per l’ammirazione, questi rimanevano perplessi tra gloria e paura, e uno solo allertato, per una durissima guerra, (…) combattendo. Infine lo stesso difese la nostra città difese tanto al suo scudo quanto il bacino del Tevere. Perciò allontanandosi gli etruschi poterono dire: “Vincemmo i romani., fummo vinti da Orazio”.

Il tempio di Giano
I romani avevano affrettato il chiudere la porta durante la guerra Sabina, che scoppiò a causa dei rapimenti delle vergini, che stava sotto le radici del colle Viminale, che dopo dall’evento viene chiamato Di Gian, perché nella stessa i nemici si precipitarono dopo che fu chiusa, subito spontaneamente si aprì; e poiché era accaduta la stessa cosa una seconda e una terza, moltissimi uomini armati davanti alla soglia, poiché non potevano chiuderla, stettero schierati in qualità di custodi, e mentre si combatteva dall’altra parte con una guerra implacabile, improvvisamente giunse la notizia che i nostri fossero respinti da Tito Tazio. Per questa ragione i romani che custodivano l’ingresso, scapparono spaventati. E mentre i Sabini furono sul punto di entrare con impeto attraverso la porta aperta, si dice che dal tempio di Giano fuoriuscisse un grande torrente con onde trascinanti e facesse morire una massa enorme di traditori o trascinati dal ribollire o tra (…). Per ciò fu stabilito che in tempo di guerra come un dio arrivi in città, (…).

La morte di Epamimondo
Epamimondo, ferito gravemente presso Martinea, morì, ed anche le truppe dello stato caddero con lui. Ma fu incerto se fosse un uomo migliore o comandante. Poiché chiedeva il comando se, mi sempre patria, e sembrava ammirabile, i dove una conoscenza della milizia fosse, tanto distinta un uomo noto attraverso gli scritti. Né il modo in cui morì dissenti da questo modello di vita: infatti non appena riportato semivivo nell’accampamento la voce e lo spirito, e chiese una cosa sola tra i circostanti; se il nemico avesse tolto lo scudo a lui cadente, quando che questo era stato salvato, lo bacio come un compagno di lavoro e di gloria. Di nuovo chiese quale die due avesse vinto. Come senti che erano i Tedoni, disse che le cose andavano bene per lui e così spirò congratulandosi vivamente con la patria.

Simonide e Dioscuri
Dicono che, quando Simonide pranzò a Cronnone in Tessaglia presso Scopa, uomo fortemato e nobile, e quando aveva cantato quel carme che aveva scritto in onore di quello, nel quale erano scritte molte cose in onore di Castore e Polluce secondo l’abitudine dei Poeti per abbellire, quello avesse detto troppo volgarmente a Simonide che lui avrebbe dato ad egli per quel carme la metà di ciò, che era stato pattuito, che chiedesse il resto ai suoi Dioscuri che aveva lodato ugualmente, se a lui sembrava giusto. Dissero che poco dopo fosse annunziato a Simonide, (poiché uscisse fuori) di uscire dicevano due certi giovani stavano presso le porte, che lo invitavano vivamente, (dicono) che lui si alzasse, uscisse, non vedesse nessuno. Intanto quella sala, dove banchettasse Scopa, era crollata: e in quel crollo lo stesso Scopa schiacciato morì con in suoi parenti.

Il sogno di Alessandro
Alessandro, quando Tolomeo, suo generale, era stato ferito in battaglia da una freccia velenosa e per questo ferita morendo con sommo dolore, mentre sedeva al capezzale si addormentò per il sonno. E allora durante il sonno si dice che gli sembrò che un drago che la madre Olimpia allevava, portasse in bocca una piccola radice e contemporaneamente dicesse dove nascesse in quel luogo( e ne egli non era lontano da quel luogo) e quella aveva tanta forza che guariva facilmente Tolomeo. Quando Alessandro, dopo essersi svegliato, aveva raccontato agli amici il sogno, furono mandati per cercare la piccola radice.

Pag. 53 N°4
Benché Miliziade fu accusato per l'insuccesso di Paro, tuttavia per una causa fra molte fu condannato. Infatti gli ateniesi vicini alla tirannide di Pisistrato, che era di pochi anni prima, di molti suoi cittadini avevano paura della forza. Miliziade, preso in consegna molti incarichi pubblici di potere, non era sembrato avere potuto esserne privato, specialmente quando sembra che la consuetudine del comando essere indotta in cupidigia. Infatti nel Chersoneso tutte le ? che aveva abitanti negli anni la dannazione aveva mantenuto il tiranno era stato chiamato, ma questo non era infatti subentrato con la violenza ma con il loro consenso, e mantenere questa sovranità con la loro benevolenza. Tutti d'altra parte sono stati e sono comandati da tiranni i quali con il comando sono sempre in questa città che con la libertà fu amministrata. Ma Miliziade era sia di grande umanità sia di grande affidabilità, come nessuno fosse di umili origini, che non verso egli fosse accessibile l'ingresso prende autorità presso ogni popolazione di nobile nome, di grandissima gloria militare. Questo popolo accogliente preferì vederlo punito senza colpe piuttosto che stare lui stesso molto tempo nella paura.

Servio Tullio diventa re
Dopo Tarquinio Prisco si tramanda che Servio Tullio abbia regnato per primo senza l'autorizzazione del popolo, raccontano che fosse nato da madre nobile ma schiava. Essendo educato nella casa di Tarquinio e partecipando ai banchetti del re non venne meno la fiamma d'ingegno che già splendeva nel fanciullo. E perciò Tarquinio che aveva dei figli alquanto piccoli sembrò prediligere Servio così che apertamente egli veniva considerato come un suo figlio. Curò che si dovesse erudire infatti in tutte quelle arti che egli stesso aveva appreso. Avendo i figli di Anco ucciso Tarquinio Servio cominciò a governare non per ordine ma per volontà dei cittadini. Mentre frattanto si crede che Tarquinio fosse ammalato per la ferita e che falsamente viva, quello stabilì di amministrare la giustizia con uso regale e usando molta generosità e benevolenza liberò i debitori col suo denaro. Poiché i due figli di Anco sopportavano a stento di essere fraudati del regno paterno e avendo cominciato a chiedere ai patrizi che Servio venisse privato del potere egli volle affidarsi alla volontà del popolo e fu comandato di regnare.

Timoteo I
Questo essendo in età tarda ed avendo finito di esercitare cariche pubbliche, gli Ateniesi iniziarono ad essere incalzati da ogni parte a causa della guerra. Samo aveva disertato, l'Ellesponto si era ribellato, Filippo già allora valoroso macedone, tramava molte cose, al quale essendosi opposto Careste, si stimava non ci fosse abbastanza difesa. Diviene stratega Menestole, figlio di Ficerate, genero di Timoteo e scelto affinché parta per la guerra. A questo sono affidati due parenti per pratica e per esperienza, il padre e il suocero. Essendo questi partiti per Samo Careste nel medesimo, conoscendo il loro arrivo, partendo con le sue truppe, accadde che avvicinandosi all'isola, scoppiasse una grande tempesta e i due vecchi comandanti ritenevano utile evitarla, fecero fermare la loro flotta.

Timoteo II
Inoltre la maggior parte che possiamo portare per testimoniare sulla moderata e sapiente vita di Timoteo, saremo paghi di uno, perciò potrà essere impiegato facilmente, di quanto egli sarà stato propizio. Quando l'adolescente (dovette) difendersi in tribunale da un'accusa ad Atene, non solo gli amici e ospiti privati si ritrovarono per difenderlo ma anche lo stesso Giasone, tirano della Tessaglia, che a quel tempo era il più potente di tutti. (…)

Il triste imbarco
Io vi scrivo le lettere meno spesso di quanto possa, poiché per me sono miseri tutti i tempi, allora ?, o scrivo a voi o leggo le vostre, sono così provato dal dolore, che io non possa sopportare, magari ? fossimo stati meno attaccati alla vita! Perché sicuramente avremmo vista nessun male o non molto. (…)

Un abile stratagemma
Tullio Ostilio essendosi avvicinato a Fidele con tutte le truppe militari, Metrio Furfentio comandante degli Abbani svelò la dubbiosa e sempre sospetta fiducia della sua alleanza improvvisamente nello steso campo di battaglia. Infatti abbandonato l'esercito dei Romani che era nascosto si accampò nel colle più vicino, spia futura della guerra, che o insultava i dominanti o accusava i vincitori affaticati. Non era un dubbio anzi che questa strategia stesse per indebolire gli animi dei nostri vedendo nello stesso tempo e i nemici combattere e gli aiuti perdersi di anima. E affinché non accadesse quello che Tullio prevedette: velocemente percorse tutte le truppe dei militari a cavallo proclamando con il suo ordine.

Il mondo creato per l'uomo
Bisogna riconoscere che tutte le cose che vediamo sono state procurate per gli uomini, manca soltanto che queste cose siano state preparate anche per le bestie sono state create per gli uomini che cos'altro portano le pecore se non che lavorate e tessute le loro pelli gli uomini si vestano, le quali pecore. In verità ne avrebbero potuto alimentarsi né sostenersi né produrre da sé alcun frutto senza l'allevamento degli uomini. In verità tanta fedele guardia dei cani, (…) tanta alacrità nel cacciare se non che i cani sono stati creati per la comodità degli uomini. Che cosa dire sui buoi? Le stesse schiene dei quali manifestano di non essere state create ad accogliere i pesi al contrario i colli sono fatti per i giochi, e allora la forza e la larghezza delle stalle a trascinare l'aratro. Sarebbe troppo lungo annoverare l'utilità dei muli e degli asini che sono stati creati per l'utilità egli uomini.

Morte di Annibale
Accadde per caso che gli ambasciatori di Prusia cenassero presso Quinzio Flaminio a Roma, e là fatta menzione di Annibale, uno di quelli dicesse che quello si trovava nel regno di Prusia. Il giorno seguente Flaminio riferì ciò al senato. I senatori (…) inviarono gli ambasciatori in Bitinia, affinché chiedessero al re affinché non avesse con se il più grande nemico del popolo romano e lo consegnasse loro. Intanto Prusia no osò dire di no a questi, una sola cosa rifiutò: che non pretendessero da lui che si facesse ciò che fosse contrario al diritto dell'ospitalità, essi stessi se avessero potuto lo prendessero, infatti Annibale si nascondeva in un fortezza, che gli era stato dato in dono dal re, e lo aveva costruito così che in ogni parte dell'edificio avesse per sé un'uscita temendo sempre che accadesse ciò che accadde. (…) Essendo giunti in quel luogo gli ambasciatori dei romani e avendo occupato tutte le porte dell'edificio, quello sentì che non doveva conservare a lungo la sua vita, ragion per cui bevette la pozione, che era abituato ad avere sempre con sé.

?
Saputi allora questi avvenimenti, gli amici del re, che amministravano il regno a causa della sua tenera età, o per timore come andavano dicendo più tardi che, dopo aver subornato l'esercito regio, Pompeo non occupasse Alessandria e l'Egitto o per disprezzo della fortuna, come per lo più avviene nella sventura, che gli amici diventano nemici, risposero apertamente con belle parole ai messi e dissero che egli venisse dal re; ma consigliatisi di nascosto, mandarono ad uccidere Pompeo Achilla, generale del re, uomo di rara audacia, e il tribuno militare Lucio Settinio. Invitato gentilmente da costoro e fatto uscire dalla sua nave per una certa conoscenza che aveva con Settinio perché nella guerra contro i pirati aveva comandato nel suo esercito una centuria, salì sopra una piccola navicella con pochi dei suoi; e là viene ucciso da Achilla e Settinio.

Ultimatum di Cesare e risposta di Ariovisto
Ariovisto rispose a queste cose: che il diritto di guerra che coloro che avessero vinto e chi avessero vinto. Così il popolo romano era solito comandare i vinti non secondo l'ordine altrui ma secondo il proprio ordine in qualsiasi modo volessero: (…) se egli stesso non avesse ordinato al popolo romano in quale modo si servisse del suo diritto non era opportuno al popolo romano essere ostacolato nel suo ordinamento. (…)

Due sogni veritieri
Così è stato tramandato un altro sogno molto famoso: quando due tali familiari Arcadi insieme fecero un viaggio e essendo arrivati a Megara, l'uno aveva alloggiato da un oste, l'altro da un ospite. I quali mentre riposavano dopo aver cenato, nel suo sogno a notte inoltrata sembrò che quello tra i due che era nell'alloggio(dall'ospite) pregare che venisse l'altro quanto prima, poiché gli apparse la sua morte a causa dell'oste. Che il primo, spaventato dal sogno, si fosse svegliato. In seguito, se quando avesse compreso e ciò che avendo considerato aveva visto fosse poca cosa, si fosse riaddormentato. Allora a lui che dormiva chiese se gli sembrò di averlo visto pregare, poiché se non fosse sopravvissuto vivo (sibi), la sua morte non invendicata ma essere chiara. Se per uccidere fosse stato gettato nel carro dell'oste e coperto sopra di sterco. Chiedere, i quale porta fosse andato al mattino, prima che il carro uscisse dalla città.

Preoccupazioni per i familiari
Tullio S.O. sua Terenzia e Tullia e Cicerone
Ricevetti da Aristocrito tre lettere, che io con le lacrime quasi cancellai. Sono consumato infatti dal dolore, mia Terenzia, le mie sfortune non mi tormentano quanto le tue e le vostre. Io per questo d'altra parte sono afflitto più di te, che sei miserissima, ma la mia colpa è personale(propria). Per con questo sventurato, turpe, indegno fu senza valore per noi. Perché mi struggo con calore e poi ancora con (nel) disonore. Mi vergogno infatti di non aver garantito alla mia ottima moglie la virtù e la cura dei soavissimi figli. Infatti ho dinanzi ai miei occhi giorno e notte il vostro dolore e tristezza e la debolezza di salute, e d'altra parte la speranza di salvezza mi è apparsa assai tenue. I nemici sono molti, guardo con sospetto pressoché tutti. Fu cosa grande esiliare noi, è facile non lasciarci entrare. Ma tuttavia, per tutto il tempo che sarete nella speranza, non vi abbandonerò affinché non sembri che tutte le cose siano accadute per colpa mia.

L'eroica impresa della costruzione di un ponte
Entrambe queste assi erano tenute ferme da entrambi le parti dall'estremità da due arpioni all'estremità essendo state poste sopra travi dallo spessore di due piedi per quanto distante il collegamento di quelle assi. Due assi che separate e legate strettamente alle parti opposte tanta era la solidità della costruzione e questa una caratteristica del legname che sarebbero state tenute più strettamente con questo legame. Quanto più incalzante fosse diventata la furia delle acque. Questi erano uniti con travi disposte orizzontalmente ed erano ricoperti con lunghi pali e graticcio. E ciò nonostante erano conficcati dei pali di traverso(obliquamente) nella parte più bassa del fiume, che posti sotto per sostegno e affinché resistessero alla violenza della corrente tutte le costruzioni legate e gli altri erano conficcati spinti nello stesso modo in uno piccolo spazio sopra il ponte, affinché se i tronchi degli alberi o piuttosto le navi (da rimuovere) a causa dell'opera dei barbari fossero missute. Con questi mezzi di difesa affinché l'urto di questi oggetti fosse attenuato e non danneggiassero il ponte.

La situazione è ormai precipitata
Fosse in pericolo la mia libertà e di tutti i benpensanti e tutto costato e gli tu puoi sapere la nostra casa e la stessa patria che abbandonammo sia depredata quanto bruciata. In questo luogo la cosa fu condotta come, se non che Dio avrà soccorso al caso di qualcuno noi non potremmo essere salvati. Certamente, quando arrivai alla città, non rinuncia tutto e sentire e dire e fare tutto ai quali concernessero la concordia. Ma mirabile furore aveva colto non solo gli imbrobi ma anche i benpensanti che sono portati a combattere lo desiderassero, me gridante che nulla essere più misero di una guerra civile. Così, fino a quando Cesare sarà preso da mancanza di senno e dimenticato le sue origini e dignità avesse occupato Rimini, Pesaro, Ancona, Arezzo, le città che noi lasciammo, quanto sapientemente o fortemente non importa parlarne.

Il contadino sognatore
Un tempo un povero contadino, uomo stolto e rustico, viveva in una piccola casa. Il contadino aveva alcune galline e gli procuravano uova quotidianamente. Il contadino frequentava la piazza della città vicina, infatti nella piazza vendeva le uova. Una volta procedeva attraverso la strada e sulla testa portava il paniere, pieno di uova. Tra sé e sé pensava: " Nella piazza venderò le uova e comprerò pecore. Le pecore genereranno molti agnelli dalla carne tenera e saporita. Io venderò a grande prezzo gli agnelli, e le loro madri mi daranno la lana. La lana sarà trattata dalla mia moglie operosa. Venderò anche la lana; allora comprerò mucche e tori. Il mio gregge crescerà e molti servi pascoleranno le mie greggi nei miei poderi, e non verrò in città a piedi ma sarò trasportato con un carro e con i miei servi andrò nel foro. I contadinelli mi saluteranno ma io avanzerò in silenzio. Gli uomini di grande autorità verranno a casa mia come ospiti e lieto davanti agli ospiti così io piegherò la testa". Mentre pensava, piegò la testa e il paniere con le uova cadde. Al povero agricoltore non rimase nessun uovo integro.

Confronto fra Cesare e Catone
Orbene a loro la stirpe, le età, l'eloquenza furono vicini all'uguale, la grandezza dell'animo pari, stessa gloria, ma differente l'una da quella dell'altro. Cesare per i suoi benefici e per e la liberalità era ritenuto grande, Catone per la rettitudine della vita. Cesare con la mitezza e la pietà fu reso famoso, a questo la severità aveva dato prestigio. Cesare col dare, col soccorrere, col perdonare, Catone col nulla concedere ha ottenuto la gloria. Nell'altro è il ricovero della miseria, l'altro è infaticabile per (nei confronti dei) malfattori. Di uno è lodata la facilità, di questo la costanza. Per ultimo Cesare si era proposto in animo di operare senza sosta, di vegliare, sollecito agli affari degli amici, trascurava i suoi, nessuno negava che fosse degno di essere donato; a se un grande comando, l’esercito, bramava la guerra nuova, dove potesse brillare la sua virtù. In Catone, al contrario, c'era desiderio di moderazione, di dignità, ma soprattutto di austerità. Non in ricchezze gareggiava col ricco, ne in intrighi col settario, ma in energia con l'operoso, in ritegno con il morigerato, in disinteresse con l'onesto; voleva piuttosto essere che sembrare buono; così, quanto meno egli cercava gloria, tantopiù essa gli teneva dietro.

Descrizione di Catilina
"L. Catilina nato da nobile stirpe, ebbe grande vigore intellettuale e fisico, ma un'indole malvagia e perversa. Di questo dalla adolescenza fu compiacente (si compiaque) di rapine, guerre civili, uccisioni, discordie civili, tra le quali visse la sua giovinezza. Il corpo era tollerante del digiuno, del freddo e della veglia al di là di ogni credere. L'animo era audace, scaltro, mutevole, delle cui cose si compiaceva (di essere) simulatore e dissimulatore; bramoso dell'altrui, prodigo del suo; ardente in cupidigia; abbastanza loquace, poco assennato. Il suo grande spirito, incredibilmente, desiderava sempre altro. Dopo la tirannide di L. Silla, lo aveva invaso una brama immensa di impadronirsi dello stato; ne si dava alcun pensiero del modo con cui conseguire questo scopo, purché si assicurasse un potere assoluto. Il suo animo fiero era ogni giorno di più, agitato dalla scarsità del patrimonio, e dalla coscienza dei suoi crimini che, l'una e l'altra, egli aveva accresciuto con la pratica dei vizi sopra ricordati. lo incoraggiavano inoltre i costumi corrotti della città, che ospitavano due mali pessimi e opposti fra loro: il lusso e la cupidigia. Poiché l'occasione mi ha richiamato a mente i costumi della città, l'argomento stesso perché mi inciti a risalire indietro ai pochi ordinamenti degli uomini e degli antenati in pace ed in guerra, come essi abbiano governato lo Stato e quanto grande l'abbiano lasciato e come, a poco, a poco cambiatosi, da nobilissimo e virtuosissimo sia divenuto pessimo e viziosissimo (pieno di vizi)."

Didone
Belo, re di Tiro, morì e lasciò come eredi il figlio Pigmalione e la figlia Ellissa, vergine dalla forma nobile. Ma il popolo consegnò il regno a Pigmalione; ma Ellissa si sposò Sicheo, suo zio, sacerdote di Ercole. Sicheo aveva un grande potere ma, per paura dei ladri lo nascose sotto terra. Tuttavia la fama delle ricchezze di Siche fu divulgata. Allora Pigmalione, per l'ardente desiderio di oro tese un'insidia a Sicheo e lo uccise. Ellissa odiò suo fratello a lungo per il delitto, infine preparò una fuga di nascosto: prese in società i principi di Tiro che avevano uguale odio verso il re e uguale desiderio di fuga. E così Ellissa con gli alleati si imbracò e con una lunga navigazione giunse in Africa. Lì strinse amicizia con gli abitanti del luogo, poi comprò il luogo, lì Cartagine fu fondata. Nelle prime fondamenta fu trovata una testa di bue, il quale fu interpretato come un auspicio di città fruttuosa, ma laboriosa e sempre schiava. Allora il luogo della città fu mutato e lì fu trovata una testa di cavallo, che poi fu interpretato come un auspicio di città bellicosa e potente.

Il Dio Mercurio e il contadino onesto
Un misero contadino taglia la legna sulle rive del fiume. Tuttavia l'ascia cade nell'acqua discende sotto le onde. Il contadino triste si siede sulla riva e piange. In cielo Mercurio vede la scena, scende dal cielo, si immerge nel fiume. Balza fuori dall'acqua con un'ascia aurea e dice al contadino:" L'ascia è tua: tieni!" "Ti ringrazio, o padre ma non è mia". Per la seconda volta il dio si immerge nel fiume e tira fuori una d'argento e il contadino di nuovo rispose: "Questa ascia è bella ma non è mia". Per la terza volta il dio si immerge ed estrae un'ascia ferrea e la offre al contadino." Questa è veramente mia!" esclama il contadino. Il dio, lieto per l'onesta risposta, restituisce l'ascia ferrea, dona anche l'argentea e l'ascia d'oro.

Discorso di Catilina prima della battaglia
So bene, oh soldati, che le parole non aggiungono virtù, ne portano l'esercito da ignavo a strenuo, ne da timido a forte per un discorso del generale. Quanto ardimento alberga nell'animo di ciascuno per natura o per educazione, tanto suole manifestarsi in guerra. Esorteresti invano chi né la gloria né i pericoli riescono a spronare: la paura che invade l'animo tappa gli orecchi:
"Ma io vi ho convocato per ricordare poche cose e al tempo stesso per spiegarvi la causa della mia decisione. Sapete certamente, soldati, che la stoltezza e l'indolenza di Lentulo apportò a se stesso e a noi tanta grande perdita e in che modo, mentre attendevo i rinforzi da Roma, io non sia potuto partire per la Gallia. Adesso in verità, a che punto siano le nostre cose le comprendete tutti al pari di me. Due eserciti nemici mi ostacolano uno dalla Città (Roma) e uno dalla Gallia. E quand'anche l'animo vi ci spingesse con grandissimo desiderio, la mancanza di frumento e di tutte le altre cose mi proibisce di restare più a lungo in questi luoghi. Dovunque decida di andare, il cammino deve essere aperto con il ferro. Perciò vi ammonisco affinché siate forti e con l'animo preparato e, quando si accende la battaglia, ricordate la ricchezza, l'onore, la gloria e inoltre (che) portate nella vostra destra la libertà e la patria: Se vinciamo, col bottino abbondante ?, libereremo i municipi e le colonie, se per paura cedessimo, le stesse saranno stimate contro, e nessuno, ne luogo, ne amico, proteggerà colui che le armi non avranno protetto. E inoltre, soldati, non la stessa necessità preme noi e quelli; noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita, a loro è superfluo per la potenza combattere con pochi. Perciò con maggiore ardimento andate all'attacco, memori della primitiva virtù. Vi sarebbe stato possibile con somma infamia passare la vita in esilio, avreste potuto alcuni di Roma, mandati via i buoni, espulse dal petto le altre forze; perché sembra agli uomini che questi deformi e insopportabili (esseri) vadano diminuendo. Se questo volete respingere c'è bisogno di audacia; nessuno se non vincitore mutò mai la guerra in pace. Infatti sperare salvezza nella fuga dopo aver distolto dai nemici le armi di cui il corpo è protetto, questa è una follia. In battaglia il maggior pericolo lo corrono sempre quelli che più temono, l'ardimento è come un muro. "Con voi osservo, e valuto le vostre azioni, maggiore speranza di vittoria mantiene da me l'animo, l'età, la virtù vostra mi incoraggiano, inoltre la necessitudine, che anche da timido rende forte.

La lode ad Epicuro
L'umanità conduceva in terra, davanti agli occhi i tutti, un'esistenza brutta, oppressa com'era sotto il grave peso della superstizione, che mostrava il capo dalle ragioni del cielo, incombendo con orribile aspetto sui mortali. Fu un uomo greco (Epicuro) che per la prima volta osò levarle contro i suoi occhi mortali, e il primo a ergersi contro. Non lo arrestarono né la fama degli dei, né il cielo con il suo minaccioso rumore; anzi eccitarono ancor più la fiera virtù del suo animo, fino al punto da desiderare di infrangere per primo le porta strettamente chiuse della natura. La vigorosa forza del suo animo ottenne completa vittoria: egli andò oltre le fiammanti barriere dell'universo; con lo spirito ed il pensiero percorse tutta l'immensità, da cui tornò vittorioso per riferirci cosa può nascere e cosa non può, per insegnarci le leggi che delimitano il potere di ciascuna cosa e mostrarci il termine profondamente infisso in ciascuna. Sicché la superstizione è stata buttata a terra e calpestata, e la vittoria ci eleva fino al cielo.

La morte di Eurialo e Niso
Intanto trecento cavalieri mandati avanti dalla città Latina, mentre l'altra legione indugia schierata e distesa sul campo, portavano la risposta a Turno, guidati da Volcente. Avanzavano nella agli accampamenti e sotto le mura, quando vedono quelli da lontano girando (che girano) verso la sinistra, e l'elmo tradisce l'incauto Eurialo nell'ombra rischiarata dalla notte, e rifulge posto di fronte ai raggi. Non invano fu visto dalla schiera. Grida Volcente: “Fermatevi, oh uomini; qual è la causa della vostra strada? Chi siete voi armati? Verso dove tenete la strada (state andano)”?
Ma quelli non andarono incontro, ma accelerarono la fuga nella selva e confidavano nella notte. Si slanciano i cavalieri ai passaggi conosciuti da ogni parte e coronano (circondano) di un custode ogni passaggio. La selva era irta di cespugli e di nero leccio (neri lecci), che folti rovi avevano riempito da ogni parte; per la nascosta pista riluceva qualche sentiero (nel senso che in alcuni sentieri oscuri, a tratti riluceva il riflesso dell'elmo di Eurialo)
L'oscurità del bosco e la preda abbondante e il timore gli fa sbagliare strada. Niso va via, dimenticandosi dell'amico aveva evitato i nemici e i luoghi; che dopo dal nome di Alba, furono detti Albani (allora il re latino aveva alti pascoli) quando si fermò e invano cercò di guardare (trovare) l'amico mancante: “Oh, infelice Eurialo, per quale ragione ti ho lasciato? Per dove ti cercherò? Ripercorre tutta l'intricata strada della ingannatrice selva e nello stesso tempo rifà le orme attentamente scrutate e vaga tra i cespugli silenziosi. Sente i cavalli, sente le grida, e i segnali degli inseguitori; non passo molto tempo quando un clamore arriva alle orecchie ?, che ormai tutto lo schieramento nemico lo rapisce (In questo momento Virgilio descrive Eurialo circondato dai nemici) sopraffatto per l'inganno dei luoghi e della notte, e che tenta invano molte uscite (molte vie) essendoci l'improvviso assalto impetuoso. Cosa dovrebbe fare? Con quale forza, con quale armi, dovrebbe osare salvare il giovane? Forse dovrebbe gettarsi pronto a morire in mezzo alle spade per cercare una bella morte per vi delle ferite.
Rapidamente ritratto il braccio e vibrando l'asta guardando l'alta luna prega così con la voce: “Tu, dea, tu Latonia, custode dei boschi, decoro degli astri soccorri la nostra fatica. Se il Irtago ha offerto alcuni doni a mio favore sui tuoi altari, se io stesso ho aggiunto alcuni doni a te, con le mie cagioni, ho infissi al sacro frontone, permetti che io possa turbare questa schiera e guida i miei dardi per l'aria.
(Così) aveva detto, e appogiandosi su tutto il corpo lanciò il ferro: l'asta volando nella notte fende le ombre della notte e viene contro il petto di Sulmone e lì si ruppe, e con il legno spezzato trafigge il cuore. Vomitando dal petto un fiume di sangue caldo e con lunghissimi sussulti, ormai cadavere, agita i fianchi.

La morte di Didone
Ma la trepida e feroce Didone, volgendo gli occhi rossi di sangue con le guance frementi cosparse di rabbia e pallida per la morte vicina, irrompe sulla soglia interna della casa e furibonda monta sull'alto rogo ed estrae la spada di Dardano dono non chiesto per questo uso. Allora, dopo che le vesti greche ed il letto nuziale attirarono l'attenzione (volse la sua attenzione al letto nuziale), indugiò piangendo e ricordando e si sdraiò sul letto e disse (dicendo) estreme parole:
“Dolci spoglie finche il fato e il dio (gli dei) lo permetteva(no), accettate questa anima e me, e slegate questo senato. Ho vissuto e ho percosso la vita che mi aveva assegnato la Fortuna, e fra poco la mia grande immagine andrà all'Averno. Fondai la città famosa (Cartagine), vidi le mie mura, vendicai il marito e feci pagare il fratello nemico: felice, davvero molto felice (sarei stata), se soltanto le navi troiane non avessero mai toccato le nostre spiagge. Disse (così), e premendo la bocca sul letto:»Moriremo invendicate, ma moriremo” esclamò “così, così andrò sotto terra. Il crudele Dardano veda l'alto rogo e a se la nostra morte porti presagio”.
Aveva detto, e dopo le ancelle appoggiarono quella riversa sulla spada mentre stava ancora parlando e (le mani erano già sporche di sangue). Così il clamore per la stanza alta (si sparse): la Fama imperversa per la città sconvolta. Le case fremono di lamenti, di gemiti, di femminili ululati. E risuonano enormi i colpi sul petto nell'aria, non diversamente che se (l'intera Cartagine) rovini per l'irruzione dei nemici tutta intera o l'antica Tiro, e fiamme furiose si propaghino per le case degli uomini e per i templi degli dei."

I ritorni degli eroi dalla guerra di Troia
Presa Troia, i re dei Greci ritornarono verso la patria con gli eserciti, poiché avevano offeso Minerva, nessun comandante giunse in patria velocemente e senza danno. Troia non lasciò Aiace Telamonio, poiché si procurò la morte presso il litorale Frigio. Aiace Oileo fu colpito da un fulmine di Giove. Infatti, mentre navigava verso la Grecia, Nettuno suscitò una grande tempesta e affondò la nave di Aiace. Il re nuotò attivamente con grande sforzo fino ad uno scoglio, così salvo, poiché era sfuggito dalla morte senza aiuto degli dei, con grande voce e illustri parole oltraggiò gli dei. Agamennone- povero!- giunse in patria. Ma la moglie uccise il re, per vendicare la figlia Ifigenia. Idomeneo navigò verso Creta ma, essendo stato sballottato da una grande tempesta, dopo che le onde così ebbero immerso la sua nave, chiese la salvezza da Nettuno, promettendo il primo uomo che avesse visto sulla terra come vittima. Dopo che Nettuno ebbe calmato la tempesta, Idomeneo accostò la nave alla costa. Subito il figliolo venne incontro al re e il re immolò suo figlio. Diomede, poiché aveva oltraggiato Venere sotto le mura di Troia durante la battaglia in battaglia, si imbatté nell'odio della dea. Per conseguenza Venere allontanò la moglie di Diomede.Il re, che amava molto la moglie, fu vinto dalla sua perfidia. Allora decise di abbandonare sia la moglie sia il regno e con pochi compagni si diresse verso l'Italia con una vela. Dopo l'esule visse in Puglia. Per molti anni Menelao errò con Elena attraverso il mare, finché arrivò in Egitto. Infine arrivò a Sparta. Ulisse ritornò in patria per ultimo, dopo che ebbe attraversato molte terre.

Il seguito di Catilina
In questa grande e corrotta civiltà Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a se le schiere di tutte le scelleratezze dei delitti, come guardie del corpo. Infatti chiunque era impudico, adultero, crapulone, aveva dilapidato al gioco, nei banchetti, nelle lussurie, le fortune paterne, e chi aveva contratto un grande debito, per riscattarsi con esso da un'infamia o da un delitto e anche tutti gli assassini di ogni paese, i sacrileghi, rei convinti nei processi o timorosi di un giudizio processuale per le loro malefatte, oltre a ciò, quelli che vivevano della loro mano e della loro lingua con lo spergiuro o con il sangue dei cittadini, tutti quelli che dei flagellati, coloro che erano agitati dal rimorso, di loro Catilina era intimo e familiari. Questa se ancora senza colpa cadeva nella sua amicizia, per il contatto quotidiano e per gli adescamenti, facilmente era reso simile ai restanti. Ma maggiormente cercava di ottenere le amicizie dei giovani. I loro animi ancora e mutevoli erano catturati non difficilmente con favori, infatti a seconda dei gusti giovani di ciascuno, ad alcuni procurava le donne, ad altri cani e comprava cavalli, non risparmiava ne il suo denaro ne il suo amore, pur di farseli amici. So che ci fu qualcuno che riteneva che la gioventù che frequentava la casa di Catilina contaminasse i proprio pudore, ma questa dicerie (ebbe) credito più a seguito delle altre cose che perché ciò fosse conosciuto con certezza da qualcuno."

Timoteo
Timoteo Ateniese, figlio di Conone, fu un uomo accorto, impigro, laborioso, esperto nell'arte militare. Sono molte le gesta famose di Timoteo: sottomise Olinto con un'aspra battaglia, prese Samo, liberò Cizico da un assedio. Ma dopo gli Ateniesi condannarono Timoteo, perché non aveva condotto favorevolmente una sola guerra, quando i Samii si staccarono dagli Ateniesi. E così Timoteo, per l'odio della sua ingrata cittadinanza, si allontanò da Atene e arrivò a Calcide, dove condusse la vita rimanente. D'altra parte sono molte le testimonianza della vita moderata e sapiente di Timoteo. Ebbe come ospiti moltissimi amici, tra i quali ci fu anche Giasone, tiranno di Tessaglia. Tuttavia dopo Timoteo, per ordine del popolo ateniese, condusse una guerra contro Giasone, perché stimava sacre le leggi della patria e le anteponeva all'amicizia. dopo la sua morte non ci fu nessun (altro) famoso comandante di Atene.

Annibale
Annibale aveva una grandissima capacità di giudizio tra gli stessi pericoli, una grandissima audacia nell’affrontare i pericoli. Il capo non poteva essere provato da nessuna fatica e l’animo non poteva essere vinto. Pari la sopportazione del caldo e del freddo. La misura di cibo e di bevande era limitata dal desiderio naturale, non dal piacere. Il tempo delle veglie e del sonno non era distinto né di giorno né di notte: ciò che rimaneva nelle cose da farsi era dato al riposo. Questo non era cercato nel morbido letto né nel silenzio, molti spesso lo videro giacere per terra coperto da un mantello militare tra le guardie e le stazioni militari. Nel vestire per niente si elevava al di sopra dei coetanei; erano notati le armi e i cavalli. Era di gran lunga il primo dei cavalieri e dei fanti; andava per primo in battaglia e per ultimo se ne allontanava una volta terminata. Ingenti vizi eguagliano queste così numerose virtù dell’uomo: una crudeltà immane, una perfidia più che punica, niente di vero, niente di santo, nessuna paura degli dei, nessun giuramento, nessuna religione.

La fortuna avversa
Dioniso, avendo ricevuto dal padre in eredità la tirannide di Siracusa e quasi tutta la Sicilia signore di grandi ricchezze, comandante degli eserciti, capo della flotta e della cavalleria. Insegnò a causa della povertà lettere ai giovani di Corinto e nominato maestro di gioco dal tiranno ammonì affinché gli uomini non credessero eccessivamente nella fortuna. Dopo Dioniso il re Siface conobbe similmente la fortuna avversa. Fu amico infatti dei romani per Scipione e dei Cartaginesi per Asdrubale. Infatti arrivò a tanta fama così da essere l’arbitro della vittoria di tantissimi popoli. Ma dopo poco tempo Siface fu portato in catene supplice dall’ambasciatore Laelio e condotto da Scipione e si inginocchiò sulle ginocchia di Scipione, del quale una volta con mano arrogante aveva astretto la mano destra quando sedeva sul trono reale.

Cesare è assalito dai Morini
Gli ambasciatori furono inviati dai nemici e vennero per parlare della pace con Cesare. Cesare duplicò il numero di ostaggi che prima aveva ordinato e nel continente comandò che fossero condotti (di portarli), poiché credeva che in inverno vicino al giorno dell’equinozio le fragili navi non potevano navigare. Lui stesso decise il tempo adatto e poco dopo la mezzanotte rilasciò le navi. Le quali arrivarono tutte incolumi al continente. Ma le due grandi navi non poterono entrare in porto. Poiché i soldati sarebbero stati (furono) esposti si diressero nelle fortezze. I Morini, che Cesare aveva lasciato pacifici partendo (partente) per la Britannia, furono attirati dalla speranza di un bottino. Quellli si misero in cerchio, si difesero.


 
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TommyGun
view post Posted on 4/11/2006, 14:52




ao me sa che questo è l'unico topic utile del forum :woot:
 
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ultras juve89
view post Posted on 4/11/2006, 18:39




E’ FORSE UNA COLPA LAVARSI I DENTI? APULEIO

Nell'Apologia Apuleio si difende dall'accusa di fare uso di arti magiche; in casa sua è stata rinvenuta, fra l'altro, una misteriosa polverina: ebbene, afferma l'autore, non è che un innocuo dentifricio! Evidentemente il suo accusatore Emiliano, emulo del catulliano Egnazio, ne ignora l'esistenza.

Velim1 igitur censor meus Aemilianus respondeat, unquamne2 ipse soleat pedes lavare; vel, si id non negat, contendat3 maiorem curam munditiarum pedibus quam dentibus inpertiendam4. Plane quidem, si quis5 ita ut tu, Aemiliane, nunquam ferme os suum nisi maledictis et calumniis aperiat6, censeo ne7 ulla cura os percolat neque ille exotico pulvere dentis emaculet, quos iustius carbone de rogo obteruerit8, neque saltem communi aqua perluat: quin ei nocens lingua mendaciorum et amaritudinum praeministra semper in fetutinis et olenticetis suis iaceat.9 Nam quae, malum10, ratio est linguam mundam et laetam, vocem contra spurcam et tetram possidere, viperae ritu niveo denticulo atrum venenum inspirare? Ceterum qui sese sciat11 orationem prompturum4 neque inutilem neque iniucundam, eius merito os, ut bono potui poculum12, praelavitur. Et quid ego de homine nato diutius?13 Belua immanis, crocodillus ille qui in Nilo gignitur, ea quoque, ut comperior, purgandos14 sibi dentis15 innoxio hiatu praebet. Nam quod est ore amplo, set elingui16 et plerumque in aqua recluso, multae hirudines dentibus implectuntur; eas illi, cum egressus in praeripia fluminis hiavit, una ex avibus fluvialibus amica avis iniecto rostro sine noxae periculo exsculpit.

Apuleio, Apol. 8

Mi piacerebbe dunque che il mio accusatore Emiliano (mi) rispondesse se egli stesso abbia mai l'abitudine di lavarsi i piedi; o, se non nega di averla1, (mi piacerebbe che) proclamasse2 che bisogna riservare maggior cura di pulizia ai piedi che ai denti. Certo se uno, come (fai) tu, Emiliano, non apre3 praticamente (ferme) mai la bocca4 se non per (pronunciare) insulti e calunnie, mi pare giusto che non dedichi alcuna cura alla (sua) bocca5 e che non si pulisca con una polvere esotica i denti - farebbe infatti meglio a strofinarseli con carbone di rogo6 - e che non se li lavi nemmeno con acqua comune: anzi, la sua lingua7 malefica, dispensatrice di menzogne e cattiverie, se ne stia sempre ferma nel suo fetente letamaio8. Perché, dannazione, che senso ha9 avere la lingua pulita e piacevole (e) la voce, invece, sporca e disgustosa, iniettare come una vipera nero veleno da un dentino candido? Al contrario, la bocca di colui che sa di dover pronunciare un discorso né inutile né spiacevole, viene a buon diritto preparata lavandola10, come il bicchiere per una buona bevanda. Ma perché mi dilungo sull'essere umano?11 (Quella) belva terribile, il ben noto coccodrillo che nasce nel Nilo, anch'essa, come sento dire, offre i denti a bocca spalancata per farseli pulire, senza fare del male12. Infatti, siccome ha la bocca larga13, ma priva di lingua e per lo più aperta nell'acqua, molte sanguisughe si impigliano ai (suoi) denti; e dopo che, uscito sulla riva del fiume, ha aperto la bocca, uno degli uccelli del fiume, (suo) amico14, infilatovi il becco, gliele estirpa senza correre alcun rischio15.



Il Lupo magro e il Cane grasso
Quanto la libertà sia dolce, brevemente dirò. Un giorno un lupo emaciato dalla fame s'incontrò con un cane ben pasciuto. Fermatisi, dopo i saluti: "Dimmi, come fai ad essere così bello? Con quale cibo sei ingrassato tanto? Io, che sono molto più forte, muoio di fame". Il cane schiettamente: "Puoi star così anche tu, se presti al mio padrone ugual servizio"; "Quale?", chiese. "La guardia della porta, la custodia della casa dai ladri nella notte" "Ma io son pronto! Ora faccio una vita grama sopportando nei boschi nevi e piogge; quanto è più facile vivere sotto un tetto, starsene in ozio, saziandosi di abbondante cibo!" "Vieni dunque con me". Mentre camminano, il lupo vede il collo del cane spelacchiato dalla catena. "Amico, cos'è questo?". "oh, non è niente". "Ma ti prego, dimmelo". "Poichè sembro troppo vivace, mi legano di giorno, perchè riposi quando è chiaro e sia poi sveglio quando vien notte; al tramonto, slegato, me ne vado in giro dove voglio. Mi danno il pane senza che lo chieda; dalla sua mensa mi getta ossi il padrone; gettano pezzi i servi e quel che avanza del companatico. Così senza fatica il mio ventre si riempie." "Ma se ti vien voglia di andartene , è permesso?" "Ah, questo no", rispose. "Goditi quello che vanti, cane. Neanche un regno vorrei, se non libero".


GIURAMENTO DI ALESSANDRO MAGNO

OPEA - 324 a. C.



VI AUGURO ORA CHE FINISCONO LE GUERRE DI TROVARE LA FELICITA' NELLA PACE. TUTTI I MORTALI DA ORA IN POI DEBBONO VIVERE COME UN SOLO POPOLO UNITI PER IL BENESSERE COMUNE. CONSIDERATE IL MONDO INTERO COME VOSTRA PATRIA CON LEGGI COMUNI DOVE GOVERNERANNO I MIGLIORI INDIPENDENTEMENTE DALLA RAZZA. IO NON DISTINGUO GLI UOMINI COME FANNO GLI IGNORANTI IN GRECI E BARBARI. NON MI INTERESSA LA PROVENIENZA DEI CITTADINI NEANCHE LA RAZZA DELLA NASCITA. LI DISTINGUO CON UN SOLA MISURA LA VIRTU'. PER ME OGNI BUONO STRANIERO E' GRECO E OGNI CATTIVO GRECO E' PEGGIORE DEL BARBARO. SE MAI VI SI PRESENTERANNO PROBLEMI DA RISOLVERE NON RICORRERETE ALLE ARMI MA RISOLVETELI PACIFICAMENTE. NEL BISOGNO MI PORRO' IO STESSO COME VOSTRO ARBITRO. NON DOVETE CONSIDERARE DIO COME L'ASSOLUTO GOVERNATORE MA COME PADRE COMUNE DI TUTTI PER FAR SI CHE IL VOSTRO COMPORTAMENTO ASSOMIGLI CON LA VITA CHE FANNO I FRATELLI NELLA FAMIGLIA. DA PARTE MIA CONSIDERO TUTTI UGUALI BIANCHI E NERI E VORREI CHE NON FOSTE SOLAMENTE CITTADINI DELLA PROPRIA COMUNITA' DI MIO DOMINIO MA COLLABORATORI TUTTI E CONSORZIATI. PER QUANTO MI CONCERNE CERCHERO' DI COMPIERLI. QUESTE COSE LE PROMETTO. QUESTO GIURAMENTO CHE ABBIAMO FATTO CON PERIZIA OGGI TENETELO COME CONSIGLIO D'AMORE...


Il mito di Prometeo

Homines ab immortalibus ignem petebant, neque in perpetuum servare sciebant; quem postea Prometheus in ferula in terras detulit hominibusque monstravit quomodo cinere obrutum servarent.. Ob hanc rem Mercurius, Iovis iussu, deligavit eum in monte Caucaso ad saxum clavis ferreis et aquilam apposuit, quae iecur eius exesset. Quantum die ederat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam post triginta milia annorum Hercules interfecit eumque liberavit.
(Igino, Fabulae 144)

Gli uomini chiedevano il fuoco agli dei immortali, e (tuttavia) non lo sapevano conservare per sempre; successivamente Prometeo su una canna portò questo sulla terra e mostrò agli uomini in che modo conservarlo coperto di cenere. Per questo fatto Mercurio, su ordine di Giove, lo fece incatenare a una roccia sul monte Caucaso con chiodi di ferro e gli pose vicino un’aquila, che rodesse il suo fegato. Quanto di giorno (essa ne) aveva mangiato, tanto di notte cresceva. Dopo trentamila anni Ercole uccise quest'aquila e lo liberò.


IL RE MIDA



MENTRE BACCO SE NE ANDAVA IN INDIA , SILENO , DAL QUALE ERA STATO EDUCATO , SI ALLONTANO’ DAL SUO SEGUITO . IL RE MIDA , SOVRANO DI QUELLA REGIONE , GLI OFFRI OSPITALITA’ E GLI DIEDE UNA GUIDA PERCHE’ POTESSE RICONGIUNGERSI A BACCO . PER CONTRACCAMBIARE IL SUO FAVORE , IL DIO PERMISE AL RE DI CHIEDERGLI QUALSIASI COSA VOLESSE . MIDA , AVIDO DI RICCHEZZE CHIESE CHE QUALSIASI COSA AVESSE TOCCATO DIVENTASSE D’ ORO . OTTENUTO CIO’ , OGNI COSA TOCCASSE DIVENTAVA D’ ORO . APPENA COLSE UN MELA DALL’ ALBERO , ESSA DIVENNE D’ ORO , APPENA LAVO’ LE MANI NELLA ACQUA DI FONTE , ESSA DEFLUENDO DIVENNE D’ORO . APPENA COMINCIO’ A MANGIARE E A BERE QUALCOSA , IL CIBO E LE BEVANDE DIVENNERO D’ ORO . TUTTE LE COSE SPLENDEVANO D’ ORO , MA IL RICCO E MISERO MIDA DESIDERAVA FUGGIRE LE RICCHEZZE CHE PRIMA PREDILIGEVA . L’ ABBONDANZA D’ ORO , NON PLACAVA INFATTI NE LA FAME NE LA GOLA ARIDA E AFFLITTA DALLA SETE . ALLA FINE ALZANDO LE MANI AL CIELO DISSE : “ PECCAI O BACCO , CONCEDIMI IL PERDONO E LIBERAMI DA QUESTO MAGNIFICO DONO “. BACCO GLI ORDINO’ ALLORA DI IMMERGERSI NEL FIUME PACTOLO , QUANDO L’ ACQUA DEL FIUME TOCCO IL CORPO DI MIDA , DIVENNE DI COLORE AUREO E IL RE FU LIBERATO DAL TERRIBILE DONO .


IL RE SERSE INVADE LA GRECIA



A DARIO RE DEI PERSIANI , SCONFITTO DAI GRECI A MARATONA , SUCCESSE IL FIGLIO SERSE .EREDE DELL’ ODIO PATERNO SERSE DESIDERAVA RINNOVARE LA GUERRA CONTRO LA GRECIA ; PER QUESTO ARRUOLO’ NUOVE TRUPPE , COSTRUI UNA GRANDE FLOTTA E A META’ ESTATE ATTRAVERSO L’ ELLESPONTO . IN SEGUITO DISCESE CON I SUOI SOLDATI ATTRAVERSO LA TRACIA E LA MACEDONIA IN TESSAGLIA E ARRIVO’ ALLA GOLA DELLA TERMOPILI . A DIFESA DELLE TERMOPILI , C’ERA LEONIDA , RE DEGLI SPARTANI , CON UN ESIGUO NUMERO DI SOLDATI VALOROSI CHE IMPEDIVANO CON GRANDE CORAGGIO IL PASSAGGIO IN ATTICA AI PERSIANI ; MA IL LORO CORAGGIO FU INUTILE . INFATTI IL TRADITORE EFIALTE , INDICO’ A SERSE UN SENTIERO NASCOSTO ATTRAVERSO I MONTI E COSI’ I PERSIANI AGGIRARONO GLI SPARTANI E LI ASSALIRONO ALLE SPALLE . LEONIDA E I SUOI SOLDATI COMBATTERONO ACCANITAMENTE CONTRO GLI INVASORI MA MORIRONO TUTTI IN BATTAGLIA . ALLORA SERSE PENETRO ‘ DALLA TESSAGLIA IN BEOZIA E QUINDI IN ATTICA DOVE I SUOI SOLDATI MISERO A FERRO E FUOCO LE CITTA’ , INCENDIARONO I TEMPLI E UCCISERO GLI ABITANTI .




IL SACRIFICIO DI CODRO RE DEGLI ATENIESI



FRA ATENIESI E DORI V’ ERANO ANTICHE INAMICIZIE . IN VERITA’ I DORI PRIMA DI VENDICARE LE INGIURIE DEGLI ATENIESI CON LA GUERRA , CONSULTARONO L’ ORACOLO DI DELFI SULL’ ESITO DELL’ IMPRESA . L’ ORACOLO DI APOLLO COSI’ RISPOSE . “ SARETE VINCITORI SE NON UCCIDERETE IL RE DEGLI ATENIESI “. QUANDO SCOPPIO’ LA GUERRA , IL COMANDANTE DEI DORI RACCOMANDO’ VIVAMENTE AI SUOI SOLDATI LA SALVEZZA E LA TUTELA DEL RE DEGLI ATENIESI . ALLORA ERA RE DEGLI ATENIESI CODRO ; COSTUI ESSENDO VENUTO A CONOSCENZA DEL RESPONSO DI APOLLO VOLLE SALVARE LA SUA PATRIA CON IL SACRIFICIO . PER QUESTO SI TOLSE LA VESTE REGALE E VESTITOSI DI CENCI , SOSTENENDO DEI RAMOSCELLI SULLE SPALLE , VENNE NELL’ ACCAMPAMENTO DEI NEMICI DOVE FERI’ CON LA FALCE UN SOLDATO . IL SOLDATO MOSSO DALL’ IRA UCCISE CODRO CON LA SPADA . I DORI , AVENDO RICONOSCIUTO IL CORPO DEL RE , MEMORI DEL RESPONSO DELL’ ORACOLO DEPOSERO’ LE ARMI E USCIRONO DAI TERRITORI DEGLI ATENIESI . COSI’ IL RE CODRO AFFRONTANDO LA MORTE CON GRANDE CORAGGIO SALVO’ LA SUA PATRIA E LIBERO’ GLI ATENIESI DALLA GUERRA .


il re travicello.


Dopo che l’esagerata libertà corruppe le abitudini (usanze) degli Ateniesi e la dissolutezza allentò il freno alle leggi, il tiranno Pisistrato prese possesso della rocca. Allora poiché gli ateniesi piangevano la triste schiavitù, non perché fosse un tiranno crudele, ma perché ogni peso era oppressivo per i cittadini non abituati alla dominazione, Esopo narrò questa favola.
Un tempo le rane, vagando libere in ampie paludi, chiesero a Giove con gran clamore un re per frenare con la forza le abitudini dissolute. Il padre degli dei rise e diede alle rane un travicello, il quale cadde nello stagno con gran fragore. Mentre le rane, stanno nascoste nel limo atterrite alla paura, una (rana) in silenzio trasse fuori dallo stagno la testa, esplorò attentamente il legno e chiamò tutte quante. Le rane lasciarono il timore e danneggiarono l’inutile travicello con ogni offesa, poi mandarono alcune di loro da Giove per chiedere un altro re. Allora un orribile serpente, che fece una strage enorme di rane, fu mandato da Giove. Inutilmente le povere rane correvano per tutta la palude mettendosi in fuga per evitare la morte: alla fine mandarono di nascosto Mercurio da Giove per aiutare le infelici. Ma il re degli dei castigò con dure parole la stoltezza delle rane –Perché non avete voluto tollerare il vostro bene, adesso sopportate il vostro male-
Esopo ammonì così agli Ateniesi –Anche voi , cittadini, sostenete la schiavitù, affinché non venga a voi un male più grande-


rega faccio del mio meglio...
 
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CarLoL
view post Posted on 4/11/2006, 19:53




io senza tanti post lunghi consiglierei di fare un giro su biblio-net

Edited by CarLoL - 4/11/2006, 20:50
 
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ultras juve89
view post Posted on 4/11/2006, 20:08




si ma da qui si prendono meglio
 
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ultras juve89
view post Posted on 15/11/2006, 17:52





Un episodio della guerra tarentina

Pirro, re degli epiroti, il quale si vantava di essere nato da Achille, venne in aiuto ai tarentini ai quali era stata dichiarata guerra dal senato poiché avevano offeso gli ambasciatori romani. Contro Pirro venne mandato il console Pubblio Valerio Sevino il quale, dopo aver catturato gli esploratori del re, ordinò che questi fossero condotti in giro per l’accampamento e fossero rilasciati incolumi, affinché riferissero a Pirro ciò che avevano visto. Dopo che gli epiroti e i romani avevano attaccato battaglia presso Eraclea e poiché gli epiroti si ritiravano ormai sconfitti, il re ordinò che fossero mandati gli elefanti contro i romani; questo mutò la sorte della battaglia. Infatti la mole delle bestie turbò i romani e i cavalli furono spaventati dalla vista e dall’odore degli elefanti a tal punto che fecero cadere i cavalieri o li trascinarono con sé nella fuga. La notte pose fine alla battaglia. Si dice che Pirro avesse massima stima dei romani catturati, che abbia seppellito i corpi ei morti e che quando vedesse i loro truci volti abbia esclamato: —Io, se avessi tali soldati, sottometterei il mondo—.


Milziade governa con equità e giustizia

I coloni, che gli ateniesi avevano deciso di mandare nel Chersoneso, vennero mandati a Delfi per chiedere ad Apollo di quale comandante avvalersi: (e) infatti allora i traci occupavano quelle regioni. Consultandola questi espressamente Pizia consigliò che scegliessero per sé Milziade come comandante. Essendo questo il responso dell’oracolo Milziade, con un contingente scelto, partì con le navi per il Chersoneso e là giunse in breve tempo. Qui, dopo aver disperso le truppe dei barbari, conquistò tutta la regione, munì di fortificazioni i luoghi adatti, collocò nei campi la moltitudine che aveva condotto con sé e li arricchì con frequenti incursioni. E in quella circostanza fu aiutato dalla saggezza non meno che (quanto) dalla fortuna. Infatti dopo aver sconfitto gli eserciti dei nemici con il valore dei soldati, con grande equità stabilì le cose e decise di rimanere in quel medesimo luogo. Manteneva infatti tra quelli la carica di re (regia); e non l’aveva ottenuta con l’autorità più che con la giustizia. E ciò nonostante prestava obbedienza agli ateniesi dai quali era partito. Per questo manteneva il comando per sempre non meno per la volontà di quelli che lo avevano mandato quanto per quelli con cui era partito.


Liberalità di Cimone

Cimone l’ateniese, figlio di Milziade, aveva proprietà e giardini in moltissimi luoghi ma fu di così grande generosità che non pose mai dei guardiani in essi per sorvegliare i prodotti. Faceva questo affinché nessuno fosse ostacolato nel raccogliere i frutti che voleva. Lo seguivano sempre i servi con i soldi affinché potesse aiutare subito i poveri. Spesso, vedendo qualcuno non bene vestito, gli donava il suo mantello, con cui (affinché) potesse sopportare il freddo. Ogni giorno gli veniva cucinata una cena tanto abbondante che potesse invitare presso di se tutti quelli non invitati che avesse visto nel foro: nessun giorno tralasciava di fare questo. La sua lealtà non venne meno a nessuno, la sua operosità non trascurò nessuno, il suo patrimonio non mancò a nessuno. Arricchì molti, aiutò sempre gli altri. Perciò la sua vita fu sempre tranquilla e la sua morte fu considerata da tutti prematura.







La disfatta di Canne

Nel cinquecentoquarantesimo anno dalla fondazione di Roma, i consoli Lucio Emilio Paolo e Publio Terenzio Varrone combatterono contro Annibale presso il villaggio, il cui nome è Canne. Quando i soldati dei romani vennero a sapere che Lucio Emilio Paolo era morto in battaglia, fuggirono tutti disordinatamente da ogni parte. Settemila uomini fuggirono nell’accampamento più piccolo, diecimila in quello più grande, i quali furono i quali furono subito circondati da Carthalone e dai cavalieri cartaginesi. L’altro console fuggì a venosa con circa cinquanta cavalieri. Furono uccisi quarantacinquemilacinquecento fanti e duemilasettecento cavalieri: tra questi entrambi i tribuni dei consoli, Lucio Attilio e Lucio Furio Bibaculo e ventinove tribuni dei soldati, circa ottanta tra senatori e magistrati. Furono catturati in quella battaglia tremila fanti e millecinquecento cavalieri.


Enea fugge da Troia

Quando infine Troia, assediata dai greci per dieci anni, fu presa col ferro e col fuoco pochissimi cittadini si salvarono dalla rovina e dalla distruzione della patria, tra i quali Enea, figlio di Anchise e di Venere. Questo, confidando nell’aiuto della madre, nel medesimo giorno in cui i greci si impadronirono di Troia, spinto dalla volontà del fato e dagli avvertimenti degli dei fuggì dalla patria con il padre Anchise e il figlio Ascanio e alcuni compagni. Perciò Enea osò cercare una nuova terra al di là del mare. Quello (Enea) sopportò moltissime avversità in questa lunga navigazione, poiché Giunone gli era ostile. La dea infatti, con l’aiuto di Eolo, suscitò una violenta tempesta, per la quale quasi tutte le navi dei troiani furono abbattute ed Enea stesso, con pochi compagni, fu scagliato sulle coste dell’Africa. Qui Didone, regina dei Cartaginesi conquistata dall’amore per Enea, a lui prestò aiuto in tutti i modi. Egli, essendosi trattenuto per qualche tempo presso la regina, su ordine di Giove lasciò l’infelice Didone e con i compagni navigò verso l’Italia, per porre le fondamenta dell’impero romano.


Scipione in Africa

Tredici anni dopo che Annibale era sceso in Italia, Scipione, il quale aveva compiuto molte imprese gloriose in Spagna fu eletto Console e fu mandato in Africa. E qui combatté contro Annone, comandante degli africani, e abbatté il suo esercito. Nella battaglia prese l’accampamento con quattromilacinquecento soldati. Catturò Siface, re della Numidia, il quale si era unito agli afri, e invase il suo accampamento. Siface fu mandato a Roma da Scipione con i più illustri numidi e un immenso bottino. Udita questa cosa, quasi tutta l’Italia lasciò Annibale e i cartaginesi ordinarono che lui stesso tornasse in Africa, che Scipione devastava. Così, sedici anni dopo l’arrivo di Annibale, l’Italia fu liberata. Gli ambasciatori dei cartaginesi chiesero la pace a Scipione. Da quello furono mandati a Roma dal senato. A questi fu concessa una tregua di quarantacinque giorni e da questi si ricevettero trentamila libbre d’argento. Il senato decretò che fosse fatta la pace con i cartaginesi secondo il volere di Scipione. Scipione concesse la pace a queste condizioni: che non avessero più di trenta navi, che pagassero cinquecentomila libbre d’argento, che restituissero i prigionieri e i fuggitivi.



Marcia di avvicinamento a Isso

Dario, avuta la notizia della cattiva salute di Alessandro, si diresse rapidamente al fiume Eufrate, e dopo aver congiunto le rive con i ponti, condusse al di là l’esercito, affrettandosi ad occupare la Cilicia. Già Alessandro, recuperate le forze, era giunto alla città di Soli; impadronitosi di questa, dopo aver preteso duecento talenti a titolo di multa, impose alla roccaforte un presidio militare. In seguito, sciogliendo i voti fatti per la salute, celebrò i giochi in onore di Esculapio e Minerva. A lui che guardava i giochi, viene recata la lieta notizia che i persiani erano stati sconfitti dai suoi in battaglia, che anche i Mindi e i Cauni e la maggior parte di quella regione erano stati ricondotti sotto la sua sovranità. Pertanto, dopo aver dato questo spettacolo divertente e spostato l’accampamento e dopo aver gettato un ponte sul fiume Piramo, giunse alla città di Mallo; da lì, con la seconda giornata di marcia, giunse alla città di Castabalo.

Le Guerre Puniche

Il popolo romano combatté tre volte contro i Cartaginesi. La prima guerra Punica fu combattuta con forze navali. La causa dell’agitazione era addotta duplice: l’una che i Cartaginesi avevano aiutato i Tarentini, l’altra che i Mamertini chiedevano aiuto contro i Cartaginesi. Del resto, di fatto, la preda era il possesso della Sicilia e della Sardegna, isole fertilissime. Appio Claudio intraprese la guerra nello stretto di Messina, Manilio e Regolo la portarono avanti nella stessa Africa, il console Duilio presso le isole Lipari, Lutazio Catulo presso le Egadi, affondate le flotte dei nemici, la terminarono. La seconda guerra Punica fu di gran lunga la più cruenta di tutte. La causa era che Annibale, andando contro l’accordo, aveva distrutto Sagunto. La prima sconfitta fu presso il Ticino, essendo stato ferito il padre (senatore) Scipione che Publio Scipione, non ancora adulto, protesse e liberò; La seconda sconfitta fu presso Trebbia, essendo stato ferito il console Flacco; La terza fu presso il Trasimeno, essendo stato distrutto l’esercito di Flaminio; La quarta fu presso Canne, essendo stati distrutti due eserciti con la morte del console Paolo e con la fuga di Terenzio Varrone. In seguito, in verità, quattro comandanti si attribuiscono la gloria della guerra Cartaginese: Fabio si attribuisce (la gloria) come il temporeggiatore poiché sconfisse con l’indugio Annibale che minacciava la distruzione della città. Marcello che per primo si oppose ad Annibale presso Nola e massacrò il suo esercito in ritirata. Claudio Nerone che fermò Asdrubale che veniva dalla Spagna con ingenti truppe prima che si unisse ad Annibale e lo sconfisse in una grande battaglia. Publio Scipione che combatté in Africa presso Zama con Annibale e ottenne una suprema vittoria: infatti dopo questo fatto i Cartaginesi deposero la guerra contro i romani. La terza guerra punica fu maggiore per le glorie che per le imprese. Infatti Scipione Emiliano portò a termine la distruzione di Cartagine, iniziata dal console Manilio e, incendiata Cartagine, arrestò per sempre le milizie di tutta l’africa.


Dopo una grave sconfitta il terrore si diffonde in Macedonia

Trascorsi alcuni giorni viene attaccata battaglia: vinti, i macedoni sono massacrati. Tolomeo, afflitto da molte ferite, è stato preso; la sua testa, amputata e infissa su una lancia, viene portata in giro in tutto il campo di battaglia per terrorizzare i nemici. Pochi tra i macedoni si salvarono con la fuga (let: la fuga salvò pochi tra i macedoni); tutti gli altri furono o catturati o uccisi. Essendo state annunciate queste cose in tutta la Macedonia, sono chiuse le porte delle città, tutto si riempie di lutto. Ora si dolevano sulla mancanza dei figli persi, ora temevano la distruzione delle città, ora chiamavano in aiuto i nomi dei loro re, Alessandro e Filippo, come potenza divina. Essi sotto questi non solo si sentivano difesi, ma anche vincitori del mondo; pregavano affinché difendessero la loro patria, che essi che essi avevano reso molto vicina al cielo con la gloria delle loro imprese e affinché portassero aiuto agli afflitti.


Datame sventa un’insidia

Il re, poiché aveva concepito un odio implacabile contro Datame, dopo che si accorse che quello non poteva essere soggiogato con la guerra, cercò di ucciderlo con degli agguati: egli (Datame) evitò la maggior parte di questi. Così, dopo essergli stato annunciato che gli tendevano insidie alcuni che erano nel novero degli amici – riguardo ai quali, poiché i nemici gli avevano riferito questa cosa, ritenne che non doveva ne credere ne trascurare – , volle conoscere se gli era stato riferito il vero o il falso: E così si recò là, nella strada in cui gli avevano predetto che ci sarebbe stato l’agguato. Ma scelse (una persona) assai simile a se per corpo e statura e diede a lui il suo vestito e gli ordinò di andare in quel luogo in cui egli stesso era solito andare. Egli stesso, in verità, inizio a camminare tra le guardie del corpo con abito e con vestito militare. Ma gli insidiatori, dopo che la scorta giunse in quel luogo, tratti in inganno dalla condizione sociale e dall’abito assalirono quello, che era stato messo al suo posto. Ma Datame aveva comandato a quelli, con i quali camminava, che fossero preparati ad agire, poiché l’avevano visto. Egli stesso, non appena riconosce gli insidiatori di quello che accorre, scagliò contro quelli i dardi. Poiché tutti quanti avevano fatto questa cosa nello stesso tempo, prima che giungessero da colui che volevano aggredire, caddero trafitti.








Alcuni esempi della forza d’animo degli Spartani

Uno spartano, del quale neppure il nome è stato tramandato, mentre era condotto a morte, poiché era stato condannato dagli Efori, aveva il volto allegro e felice. Mentre un nemico gli diceva: “Disprezzi le leggi di Licurgo?”, rispose : “Io veramente sono massimamente riconoscente a lui, poiché mi ha condannato a questa pena, che posso scontare senza far debiti”. Con uguale coraggio gli Spartani morirono alle Termopili. Cosa disse a quelli quel famoso comandante Leonida? “Proseguite con animo forte, Spartani; oggi forse pranzeremo negli inferi”. Questa gente fu forte, finché vigevano le leggi di Licurgo. Poiché un nemico Persiano aveva detto gloriosamente in un colloquio: “non vedrete il sole per il gran numero di giavellotti e frecce”, un soldato spartano: “allora –disse- combatteremo nell’ombra”. Ricordo gli uomini; quale spartana infine, che dopo aver mandato il figlio in combattimento e aver udito che era stato ucciso, “Per questo motivo - disse- avevo partorito, perché fosse tale da non esitare ad affrontare la morte per la patria”.


Augusto enumera gli spettacoli che ha offerto al popolo

Tre volte diedi spettacoli gladiatori in mio nome e cinque volte in nome dei miei figli o dei miei nipoti; in questi giochi combatterono fino all’ultimo sangue circa diecimila uomini. Due volte ho offerto al popolo uno spettacolo di atleti in mio nome e il terzo in nome di mio nipote. Quattro volte istituii i giochi in mio nome, in qualità di console feci per primo tredici giochi dedicati a Marte. Ventisei volte diedi al popolo spettacoli di caccia alle bestie africane in nome mio o dei miei figli e nipoti nel circo o nel foro o negli anfiteatri, nei quali sono state uccise circa tremilacinquecento bestie. Diedi al popolo uno spettacolo di un combattimento navale oltre il Tevere, nel quale luogo ora c’è il bosco dei Cesari, scavato il suolo milleottocento piedi in lunghezza e milleduecento in larghezza. In questo luogo combatterono tra loro trenta navi rostrate triremi o biremi, più grandi o più piccole.


Il poeta Filosseno e il tiranno Dionigi

Dionigi, tiranno dei Siracusani, aveva composto versi alquanto rozzi e spiacevoli a essere uditi, nei quali si era inettamente gettato. C’era tra i poeti che partecipavano ai suoi banchetti Filosseno, illustre autore di ditirambi, che era inesperto di adulazione. Nel banchetto Filosseno, poiché Dionigi aveva recitato gloriandosi stolte poesie, spiegò liberamente cosa pensava. Per questa libertà il tiranno fu offeso a tal punto che ordinò che Filosseno fosse legato e cacciato nelle latomie e fosse tenuto prigioniero. Il giorno dopo tuttavia, essendo stata placata la sua ira dalle preghiere dei suoi amici, richiamò Filosseno a sé. Mentre Dionigi recitava di nuovo le sue poesie e chiedeva a Filosseno cosa sentiva, quello si alzò tacendo e se ne andò. Essendogli stato domandato perché si fosse alzato e dove si dirigesse: “nelle latomie” rispose. Questa spiritosa risposta gli procurò il perdono; una così grande franchezza non poté infatti essere punita dal tiranno.


Cesare e il dittatore Silla

Giulio Cesare, nato da stirpe nobile, perse il padre a quindici anni. Dopo pochi anni sposò Cornelia, figlia di Cinna, che era stato acerrimo nemico di Silla. Poiché Silla aveva ordinato che Cesare la ripudiasse, questo rifiutò di obbedire al dittatore. Per questo Cesare privato del patrimonio familiare, poiché era anche stato condannato a morte, avendo cambiato la veste, di notte fuggì dalla città e, benché fosse leggermente ammalato, era costretto a cambiare i nascondigli ogni notte. Infine catturato da un liberto di Silla, sfuggì a fatica, avendo dato il denaro. Infine Cesare attraverso suoi amici, che erano legati intimamente al dittatore, ottenne il perdono, nonostante Silla si fosse opposto a lungo. Egli infatti soleva dire che un giorno Cesare sarebbe stato la rovina degli ottimati: questo in seguito accadde veramente.



La battaglia di Bibracte

Cesare, prima a sue spese, poi di tutti, allontanati i cavalli dalla vista, per togliere la speranza di fuga dopo aver reso il pericolo uguale per tutti, dopo aver esortato i suoi attaccò battaglia. I soldati sfondarono facilmente la falange dei nemici, avendo scagliato i giavellotti da un luogo più alto. Avendola scompigliata, li assaltarono dopo aver sguainato le spade. Ai Galli era di grande impedimento alla battaglia il fatto che, essendo stati parecchi i loro scudi trapassati e legati l’uno all’altro da un unico lancio di giavellotti, poiché la punta di ferro si era piegata, non potevano né estrarre né, avendo la mano sinistra occupata, combattere sufficientemente bene: allora molti preferivano scagliar via lo scudo e combattere senza difesa, avendo agitato a lungo il braccio. Infine, stanchi per le ferite, cominciarono sia a ritirarsi e , poiché il monte saliva uno spazio di circa mille passi, sia a volgere lì. Avendo preso il monte e avvicinandosi i nostri, i Boi e i Tulingi, che chiudevano la schiera dei nemici con circa quindicimila uomini ed erano a presidio come “novissimi”, lungo il cammino cominciarono a circondare i nostri essendosi avvicinati dal fianco aperto e avendo gli Elvezi visto ciò, i quali avevano rivolto verso il monte, a incalzare di nuovo e a riprendere il combattimento.


Generosità di Alessandro verso i nobili persiani prigionieri

Alessandro, mentre con banchetti anticipati consumava i giorni e nello stesso modo le notti, con Dario, re dei Persiani, superato presso Arbela, interrompeva l’abbondanza delle vivande con i divertimenti. Un tempo ordinò che i prigionieri Persiani secondo la sua usanza cantassero una poesia. Tra questi il re stesso scorse una più triste degli altri che resisteva con un atteggiamento verecondo a coloro che la conducevano avanti. Era eccellente per bellezza, e il pudore abbelliva l’aspetto: abbassati gli occhi a terra e chiusa la bocca offrì al re il sospetto che lei fosse nata in una famiglia nobilissima. Dunque interrogata chi mai fosse, rispose che era la nipote di Oco, che aveva regnato prima di Dario in Persia, nata da suo figlio, moglie di Istaspe. Questo era stato tra i parenti di Dario, comandante stesso del grande esercito. E così Alessandro, rispettando la sorte di colei che discendeva da una stirpe regale e il tanto celebre nome di Oco, non solo ordinò che la prigioniera fosse liberata ma anche che le fossero restituite le sue ricchezze, che anche l’uomo fosse cercato, affinché avendolo trovato gli restituisse la moglie. Il giorno dopo anticipò a Efestione che ordinasse che tutti i prigionieri fossero condotti nella reggia. Là, giudicata la nobiltà di ognuno, separò dalla plebe coloro dei quali emineva la stirpe. Questi furono mille: tra i quali fu trovato Ossatre, fratello di Dario, più famoso non per la sua fortuna quanto per l’indole del suo animo. Ossidate era un nobile persiano che, destinato da Dario al supplizio capitale, era tenuto in prigione; a questo liberato attribuì la satrapia della Media, e accolse il fratello di Dario nella corte degli amici, salvato da tutto l’onore dell’antica Roma.


Perché i fanciulli romani indossano la toga pretesta

Tullo Ostilio, terzo re dei Romani sconfitti gli Etruschi, istituì per primo che a Roma si avesse la sedia curule e i littori e la toga dipinta e pretesta, che erano le insegne dei magistrati etruschi. Ma in quel periodo la fanciullezza non usava la pretesta; era infatti come le altre cose che ho enumerato l’aspetto di onore. Ma successivamente Tarquinio Prisco, figlio di Demarato esule di Corinto, terzo re da Ostilio, quinto da Romolo, celebrò il trionfo sui Sabini. In questa guerra lodò suo figlio di 14 anni sia davanti all’assemblea sia donò la bolla d’oro sia la pretesta, poiché aveva colpito il nemico con mano, onorando il forte ragazzo dopo anni con premi di virilità e onore. Infatti come la pretesta dei magistrati, così la bolla era un peso dei trionfanti, che mostravano in trionfo, racchiusi dentro essa rimedi che la credevano molto efficace contro l’invidia. Da qui fu spiegato il costume che la pretesta e la bolla in uso dei ragazzi nobili fossero usate ad augurio e promessa di conciliare la virtù simile a quello a cui nei primi anni toccarono questi doveri.








Le leggi contro il furto

Dracone l’Ateniese fu giudicato uomo buono e che fosse di tanta saggezza, e fu esperto del diritto divino e umano. Lo stesso Dracone presentò prima di tutte le leggi, alle quali gli Ateniesi ricorrevano. In quelle leggi decise e stabilì troppo severamente che un ladro dovesse esser punito del furto con la pena di morte e di quale maniera e tante altre cose. Allora le su eleggi, dal momento che sembravano troppo crudeli, furono cancellate non con un decreto o con un comando, ma con il tacito e non scritto consenso degli Ateniesi. In seguito furono adottate altre leggi più miti composte da Solone. Tale Solone fu tra quei famosi sette sapienti. Egli sulla sua legge sui ladri stimò che bisognasse vendicarsi non come Dracone prima, con la pena di morte, ma del doppio. I nostri decemviri invece, che dopo la cacciata dei re scrissero in dodici tavole le leggi che usava il popolo romano, non usarono né uguale severità nel punire ladri di ogni genere né troppo rilassata moderazione. Presso gli Spartani invece non pochi né ignobili scrittori, che hanno narrato notizie sui loro costumi e leggi, dicono che c’era il diritto e l’usanza di rubare, e che ciò era fatto abitualmente dalla loro gioventù non per guadagni disonesti né per offrire spesa al capriccio o per procurare la ricchezza, ma per la pratica e la disciplina dell’arte militare.


Bisogna sottrarsi alle lusinghe dei piaceri

Dobbiamo comportarci in modo da fuggire il più lontano possibile dalle provocazioni dei vizi; bisogna temprare il nostro animo e tenerlo ben lontano dalla seduzione dei piaceri. Un solo quartiere d’inverno dissolse le energie di Annibale, e quest’ uomo, che né le nevi né le alpi erano riuscite a domare, fu snervato dalle calde mollezze della Campania: vinse con le armi, fu vinto dai propri vizi. Anche noi dobbiamo guerreggiare, e per la verità, in un genere di milizia che non consente né riposo né distensione. È indispensabile sconfiggere innanzitutto i piaceri, che , come vedi, hanno trascinato con se anche indoli austere. Se qualcuno considererà realisticamente quanto grande sia l’opera intrapresa, si renderà conto che in nessun caso si deve cedere alla sensualità e alle mollezze. È la Fortuna che mi fa la guerra; non intendo seguire i suoi ordini, non accetto il giogo, anzi – e per questo ci vuole maggior coraggio – lo scuoto lontano da me. Non bisogna rammollire l’animo. Una volta che mi sia arreso al piacere dovrò cedere al dolore, cedere alla fatica, cedere alla povertà.


Alessandro Magno ha fiducia nel suo medico

una volta Alessandro, mentre passava per la Cilicia, stanco per il viaggio, tolta la veste, discese nel fiume Ciduo, che scorre in mezzo alla città di Tarso, per lavare il corpo cosparso di polvere e sudore; questa avventatezza per poco non gli fu fatale. Infatti all’improvviso le membra si irrigidirono e il calore vitale abbandonò quasi tutto il corpo: egli somigliante a un morente, fu portato nella tenda. Questo suscitò ingente preoccupazione a tutti i soldati. In seguito il re, che già guariva dalla malattia, ricevette una lettera d a Parmenione, fidatissimo tra gli amici, la quale ammoniva di non affidare la sua salute al medico Filippo, poiché il medico era stato corrotto dal re Dario affinché uccidesse Alessandro con il veleno. Avendo letto la lettera fino in fondo, Alessandro, quando il medico gli porse la coppa in cui aveva diluito la medicina, bevve impavido, poi porse la lettera da leggere a Filippo, dicendo: ‘ morire di malattia piuttosto che non fidarsi di tè e gli porse la destra. Dopo tre giorni Alessandro venne in vista dei soldati, che felici per la buona saluto del re acclamarono il medico come un Dio.











Incorruttibilità di Epaminonda

D’altra parte l’incorruttibilità di Epaminonda fu stuzzicata da Diomedonte di Cizico: infatti egli, su richiesta del re Artaserse, si era impegnato per corrompere Epaminonda con il denaro. Questo venne a Tele con una grande quantità di oro e con il dono di cinque talenti attirò dalla sua il giovane Micito, che allora Epaminonda amava moltissimo. Micito incontrò Epaminonda e presentò il motivo dell’arrivo di Diomedonte. Ma quello di fronte a Diomedonte disse ‘non c’è bisogno di denaro: infatti se il re vuole, quelle cose che sono utili ai Telani, sono disposto a fare gratuitamente, se invece sono dannose, non ho abbastanza oro e argento. E infatti non voglio ricevere le ricchezze del mondo per l’amore della patria. non mi stupisco del fatto che tu hai tentato ma non conosciuto e mi hai giudicato tuo simile, e ti perdono; ma esci in fretta, per non corrompere altri, dato che non hai potuto farlo con me. E tu, Micito, restituisci l’argento a questo, o , se non lo fai immediatamente, io ti consegnerò al magistrato’. Mentre Diomedonte chiedeva questo, disse ‘farò codesta cosa, e non per causa tua, ma mia, affinchè, se ti viene sottratto del denaro, qualcuno non dica che ciò è giunto a me, che non avevo voluto ricevere portato giù.


I Germani sono sorpresi dall’improvviso attacco dei romani

Cesare avendo schierato l’esercito su tre file e avendo ultimato velocemente un viaggio di otto miglia giunse agli accampamenti dei nemici prima che fosse fatto che i Germani potessero sentire qualcosa. Questi spaventati improvvisamente da tutte le cose, sia dalla velocità del nostro arrivo sia dall’allontanamento dei loro, non essendo stato dato il tempo né di avere una decisione né di impugnare le armi, sconvolti non sapevano se fosse meglio condurre le truppe contro il nemico, o difendere l’accampamento, o cercare la salvezza con la fuga. Mentre il loro timore si rivelava con il tumulto e l’accorrere, i nostri soldati incitati dalla perfidia del giorno precedente irruppero nell’accampamento. In quel luogo coloro che poterono impugnare velocemente le armi resistettero per un po’ ai nostri e attaccarono battaglia tra i carri gallici e gli ostacoli: ma la restante folla di fanciulli e donne ( infatti con tutti i parenti erano usciti dalla patria e avevano attraversato il Reno) cominciò a fuggire in tutte le direzioni; Cesare inviò la cavalleria a inseguirli.


Guerra fra Artaserse e Ciro

Dario, re dei Persiani, mentre stava per morire, lasciò il potere ad Artaserse, il maggiore dei due figli, ma attribuì la città a Ciro, delle quali era già satrapo. Ma Ciro, poiché pensava che la decisione del padre fosse iniqua, cominciò a preparare la guerra in segreto contro il fratello. Allora Antaserse, fatto più certo della decisione del fratello, ordinò che Ciro fosse legato con catene d’oro; e lo avrebbe ucciso, se la madre non lo avesse impedito. Poi Ciro fu rilasciato e ricollocato nelle sue province. Lì in verità, poichè odiava il fratello, osò preparare la guerra non segretamente, come in precedenza, ma palesemente, avendo radunato da ogni logo un ingente esercito. La cosa fu riferita ad Antaserse, che si preparò immediatamente a sostenere l’assalto del fratello. Quando si giunse in guerra, per primo fu ferito Antaserse dal fratello ed esanime fu portato fuori dalla schiera, ma Ciro schiacciato dalla coorte regia, combattendo valorosamente, fu ucciso.


Ritratto di un giovane

Non ricordi dei giovani, dei quali abbiamo parlato con gli amici poco fa? In tutti questi si distingue Minicio di Acilio, che , come un giovane (è infatti minore per pochi anni) ama molto intimamente un giovane, mi rispetta come un vecchio. La sua patria è Brescia, da quella nostra Italia che mantiene e conserva ancora molto di modestia, moderazione e anche di antica semplicità contadina. Suo padre Minicio Macrino, il più autorevole dell’ordine equestre, poiché non volle niente di più alto. Aggiunto infatti dal divino Vespasiano tra i pretori, preferì molto fermamente una quiete dignitosa a questo onore. Ha come nonna materna Serrana Procula, dal municipio di Padova. Conosci i costumi del luogo; tuttavia Serrana per i Padovani è anche esempio di severità. In verità Ociliano stesso ha moltissimo vigore, operosità benchè nella massima modestia. Ha un aspetto nobile velato con molta vitalità, con molto pudore; ha una delicata bellezza di tutto il corpo, e un certo decoro senatorio, che io penso non debbano essere affatto trascurati.

Il tradimento di Focione

Focione l’Ateniese, essendo la buona sorte giunta vicino all’ottantesimo anno, negli ultimi anni venne in grande odio dei suoi cittadini, dapprima perché con Demade aveva acconsentito a lasciare la città ad Antipatro e con la sua decisione Demostene con altri, che erano stimati benemeriti nei confronti dello stato, con un decreto del popolo erano stati mandati in esilio. E non aveva danneggiato solo lui, poiché aveva provveduto male alla patria, ma anche perché non aveva mantenuto la parola dell’amicizia. E infatti accresciuto e aiutato da Demostene aveva aumentato il rango che teneva, affinchè contro Carete lo corrompesse: dallo stesso nei processi, mentre pronunciava il processo capitale, difeso qualche volta, se ne era andato liberato. Non solo non difese questo nei pericoli, ma anche lo tradì. Cadde d’altra parte massimamente in un crimine, poiché essendo presso di lui sommo potere del popolo e che Nicarone, prefetto di Cassandro, insidiava il Pireo degli Ateniesi, essendo ammonito da Dercilo e chiedendo lo stesso, affinchè provvedesse, per non far sì che la città fosse privata dei rifornimenti, a questo col popolo che ascoltava Focione disse che non c’era pericolo e promise che lui sarebbe stato garante di questa cosa. E così non molto tempo dopo Micanore si impadronì del Pireo, senza quello di Atena non possono essere completamente. Essendo il popolo accorso armato per recuperarlo, egli non solo non chiamò nessuno alle armi, ma non volle neppure che ci fosse qualcuno armato.


Un assalto notturno dei Galli

Contemporaneamente, udito il grido, Vercingetorige dà il segnale con la tromba e fa uscire le sue truppe dalla rocca. I nostri, secondo il posto assegnato a ciascuno nei giorni precedenti, accorrono alle fortificazioni; mettendo in azione fionde pesanti e pertiche predisposte per la difesa, e con proiettili di piombo tengono a bada i Galli. Quando la vista viene meno per le tenebre, molte sono le ferite subite da entrambe le parti, moltissimi i lanci eseguiti dalle macchine. Ma i due luogotenenti Marco Antonio e Gaio Trebonio, cui era toccata la difesa di quel settore, ovunque si accorgevano che i nostri erano in difficoltà mandavano rinforzi fatti venire dalle ridotte più lontane. Finché i Galli erano lontani dalle nostre linee, avevano più successo per l’impotenza dei loro tiri; dopo che si furono fatti più sotto, cominciarono a infilzarsi, senza vederli, nei cosiddetti pungoli, oppure finivano in fosse e rimanevano infilzati, o ancora perivano trafitti dai pesanti giavellotti che si usano sulle muraglie e che fioccavano dalla palizzata e dalle torri. Nonostante le molte ferite ricevute, senza per questo intaccare minimamente le nostre fortificazioni, allo spuntar del sole ripiegarono sulle proprie linee. Ma gli assediati, che nel portar fuori gli attrezzi preparati da Vercingetorige per la sortita e per colmare, i primi, il fossato, avevano impiegato per queste operazioni più tempo del previsto, ebbero notizia della ritirata dei compagni prima di raggiungere le fortificazioni nemiche. Rientrarono allora nella rocca senza aver nulla concluso.


Tebe liberata dall’occupazione spartana

Febida lo Spartano conducendo l’esercito ad Olinto e viaggiando attraverso Tebe, occupò la rocca della città, che è chiamata Cadunea, con l’assalto di pochi Tebani, che per resistere più facilmente alla fazione nemica, aspiravano alle cose degli Spartani, e non fece ciò per una decisione pubblica, ma sua privata. Fatto quersto gli Spartani lo allontanarono dall’esercito e lo condannarono a una multa pecuniaria, e non restituirono la rocca ai Tebani, tanto più che avendo attirato le inimicizie ritenevano preferibile che loro fossero assediati che liberati. Infatti dopo la guerra del Peloponnesoe avendo sconfitto Atene con i Tebani pensavano che la questione fosse per loro e che loro fossero i soli, che oisassero resistere contro. Con questo pensiero avevano dato il sommo potere ai loro amici e avevano ucciso una parte dei capi dell’altra fazione, avevano scacciato gli altri in esilio: tra questi l’esiliato Pelopida era senza patria. questi tutti si erano diretti generalmente ad Atene, non per cercare l’ozio ma affinchè la sorte avesse assegnato ciascun luogo dal vicinato, perciò si affidassero a riconquistare la patria. e così quando sembrò tempo di agire, d’accordo con quelli che in Tebe ne condividevano le idee, scelsero il giorno per opprimere i nemici e liberare la città, in cui del massimo magistrato avevano di banchettare insieme.




L’ateniese Conone al servizio di Farnabazo

Conone l’Ateniese, avendo udito che la patria era assediata, non cercò un posto dove vivesse al sicuro, ma da dove potesse essere di guardia ai suoi cittadini. E così si diresse da Fornabazo, satrapo della Ionia e della Lidia e stesso genero del re e parente: presso di lui affinché il favore avesse molta importanza, lavorò con molta fatica e in molti pericoli. Infatti poiché gli Spartani non rimanevano in società con gli Ateniesi sconfitti, quanto avevano fatto con Antaserse e avevano inviato Agesilao in Asia per combattere, massimamente incitati da Tissaferne, che tra gli intimi del resi era staccato dalla sua amicizia e quando aveva stretto un’alleanza con gli Spartani, fu impiegato come comandante contro questo Fornabazo, ma in realtà fu Conone a capo dell’esercito, e tutte le cose furono decise a suo arbitrio. Questo ostacolò molto il comandante sommo Agesilao e spesso si oppose alle sue decisioni. Il quale dopo che fu richiamato in patria dai suoi cittadini, dato che i Beoti e gli Ateniesi avevano indetto guerra agli Spartani, Conone tuttavia rimaneva al fianco dei governatori del re e per tutti questi era a grande impiego.


Le doti di Dione

Dione, figlio di Ipparnio, siracusano, nato da una famiglia nobile, ebbe dalla natura molte cose buone, tra queste l’ingegno versatile, affabile, adatto alle nobili arti, un portamento esteriore pieno di dignità, che soprattutto aggiunge splendore; inoltre grandi ricchezze lasciate dal padre, che egli stesso aveva accresciuto con i doni del tiranno Dionigi. Era amico intimo di Dionisio il vecchio, e non meno per abitudini che per parentela. E infatti anche se non gli piaceva la crudeltà di Dionisio, tuttavia desiderava essere salvo per la relazione di parentela, ancor più che per causa dei suoi. Era andato in grandi case, e con il suo consiglio il tiranno era molto manovrato, se la brama non si era frapposta in questa casa più di lui. In realtà tutte le ambascerie che fossero più illustri, erano amministrate presso Dione: egli davvero frequentandole diligentemente e amministrandole lealmente, nascondeva con la sua umanità il crudelissimo nome del tiranno. Inviato costui da Dionisio i Cartaginesi così levarono lo sguardo, come non ammirarono mai di più nessuno che parlava la lingua Greca.

posted by marco sugas at 8:27 PM | 0 comments


Il senato respinge la proposta di pace di Pirro.
La Germania ai tempi dei romani
Un grande poeta di umili origini
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L'invenzione del vino
La sconfitta di Quintilio Varo e il dolore di Augusto
Il console Caio Fabrizio ed il re Pirro
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Q. Cicerone assediato dai Nervi
Cesare raccoglie rinforzi per portare aiuti a Cicerone
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Ritratto di Silla
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L’isolamento del saggio non è inazione
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II De Ira
III De Ira
Agguato Teso ai Catilinari sul ponte MilvioIl senato respinge la proposta di pace di Pirro.
Pirro, il primo nemico d'oltremare, condusse una guerra contro l'esercito di romani in Italia. Infatti dal suo regno delle Pirro, occupato da siti boschi e irti monti, giunse in Puglia con un grande esercito in aiuto dei Tarentini i e sconfisse i romani in una battaglia campale. Ma tuttavia i romani avevano forza d'animo e non c'è dettero alla disperazione ma allestire uno una nuova truppa. In essi accorse di tanta forza di tanto coraggio e mandò Cimeo in senato un uomo di grande eloquenza e astuzia e propose la pace a tranquille condizioni. Il senato verteva già per la pace, ma giunse in curia Appio Claudio, cieco e vecchio, e con suo carisma dissuase dalla pace. I senatori seguirono alle parole di Appio e respinse non è condizioni del re. Allora Pirro portò la sua truppa di Sicilia, contro i Cartaginesi e le disperse i nemici con parecchie battaglie.

La Germania ai tempi dei romani
I vecchi giudicarono il clima della Germania più avverso del nostro i campi meno fertili, qui -così scrissero infatti nei loro libri - il sole splende più raramente è con una luce più pallida, le notti sono più lunghe fredde, le estati brevissimi, gli inverni più lunghi e avversi che nelle nostre regioni perciò gli abitanti sembravano d'indole più triste e spesso vivevano in una condizione poverissima a causa del freddo assai pungente e fastidioso. Nelle regioni italiane al contrario il clima era serena leggero, l'aria assai salutare per gli uomini e assai adatta raccolto le campagne più fertili; perciò gli abitanti apparivano più felici e vivaci. Ne boschi della Germania vivevano parecchie normali, sconosciuti romani fra i quali Cesare annoverò al citi bisonti. Le alci erano di forme assai simili alle capre, ma poco più grandi e senza corna. Gli uri erano poco più piccoli degli elefanti una possedevano la forma dei tori ma si distinguevano di molto dei nostri buoi per la grandezza delle corna.

Un grande poeta di umili origini
Dicono che il poeta Euripide sia nato in povertà; infatti siamo venuti conoscenza dagli antichi scrittori che sua madre vendeva verdure selvatiche per la strada e così procurava il cibo per se è per il figlio. L'oracolo di Apollo aveva predetto a suo padre, che quel ragazzo, quando sarebbe cresciuto, sarebbe stato vincitore nelle gare. Avendo udito questo responso, il padre aveva creduto che il figlio un giorno sarebbe diventato un atleta. Perciò quando il suo fisico si fu rafforzato essi fu esercitato, lo mandò ad Olimpia a gareggiare cogli altri atleti. Ma sappiamo che a causa della sua giovane età , Euripide non fu ammesso alla prima gara e dopo sarebbe uscito vincitore dalla battaglia. Euripide in fu tuttavia un esperto di letteratura e non un atleta. Perciò in seguito di divenne discepolo del fisico naturalista Anassagora e della retorica di Procide e fu seguace di Socrate nella filosofia della morale. Diciannove anni scrisse la prima tragedia. C'è stato tramandato da Filocoro che Euripide scrivesse le sue tragedie in una grotta tetra e ora riga in quanto riteneva che la solitudine fosse perfetta per la concentrazione mentale.

 
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mantenna
view post Posted on 29/11/2006, 16:13




ce l'avete l'incorruttibilità di focione??è di eliano,è una versione d greco
 
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ultras juve89
view post Posted on 1/12/2006, 15:38




mi puoi dire l'autore?


 
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CarLoL
view post Posted on 1/12/2006, 17:40




c'è scritto idiota
 
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78 replies since 28/10/2006, 17:59   39707 views
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